Il 18 settembre nel Regno Unito è stato pubblicato un rapporto compilato da un comitato di esperti, il Migration Advisory Committee (MAC), che ha analizzato l’impatto economico e sociale dell’immigrazione europea in Inghilterra. Il rapporto, commissionato dal governo britannico nel luglio 2017, è mirato a fornire una base oggettiva per una nuova politica sull’immigrazione post-Brexit. Il valore di questo approccio, seppur sia stato criticato visto il ritardo del governo inglese nell’affrontare la questione dopo il referendum sulla Brexit del 2016, è che può fornire l’analisi necessaria per rivedere il discorso sull’immigrazione sulla base di dati obiettivi, non solo percezioni.

 

Il dibattito sull’immigrazione e l’integrazione nel Regno Unito non è molto diverso da quello in Italia. Io l’ho vissuto sulla mia pelle in quanto emigrante italiana di lunga data. Ho vissuto a Londra per oltre vent’anni, più di quanti non ne abbia vissuti in Italia. Pensavo di essermi pienamente integrata avendo un lavoro, una famiglia e una casa. Tutto però è cambiato dopo il referendum del giugno 2016, quando, per la prima volta, anch’io mi sono sentita un’estranea, una migrante (economica per giunta!), insomma un’europea nel Regno Unito. E le accuse contro noi migranti europei sono state molte: “ci rubate i posti di lavoro”, “pesate sul sistema sanitario”, “venite qui solo per ricevere i sussidi”, “i vostri figli rubano il posto a scuola ai nostri”… e così via. La maggior parte degli inglesi che ha votato per la Brexit lo ha fatto per poter controllare i flussi migratori verso l’Inghilterra dando fine alla libera circolazione dall’UE. I paralleli tra l’Inghilterra e l’Italia sono evidenti e inquietanti, soprattutto per chi, come me, è diventato un capro espiatorio da un giorno all’altro.

 

Il rapporto del MAC tocca un ampio spettro di temi di rilevanza importante per il discorso sull’impatto dei migranti europei nel Regno Unito. Tra questi vediamo l’impatto sui salari e l’impiego, la produttività, l’innovazione nelle imprese, la formazione, i prezzi al consumatore, il costo delle case, le finanze pubbliche e la distribuzione dei servizi, dei sussidi pubblici, l’impatto sulla criminalità ed infine l’impatto percepito sulle comunità e il well-being soggettivo.

 

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il MAC conclude che i migranti non hanno avuto alcun impatto negativo sul tasso di impiego e di disoccupazione in Inghilterra e che l’immigrazione non è stato un fattore determinante sulla crescita o meno dei salari dei lavoratori inglesi. Infatti, il rapporto conclude che la svalutazione della sterlina in seguito al referendum ha avuto un impatto negativo maggiore sui salari medi inglesi che non l’immigrazione. Inoltre, il MAC trova che i lavoratori europei hanno contribuito ad aumentare, non ad abbassare, la produttività e l’innovazione nelle imprese inglesi e non hanno avuto un impatto negativo sull’offerta di formazione per i lavoratori britannici.

 

Il MAC sfata anche il mito secondo il quale i migranti europei sono un peso sul sistema del welfare e servizi pubblici quali, per esempio, la sanità e la scuola. Il rapporto trova che ogni migrante contribuisce in media £78,000 (87,000 EUR) più di quanto non riceva in sussidi e servizi pubblici nell’arco della sua vita. Inoltre, il MAC conclude che più che essere un peso sulla sanità pubblica, il sistema sanitario inglese (National Health System) è tenuto in piedi dalle migliaia di dottori, infermieri e operatori sanitari europei che ci lavorano. Infine, si conferma che non esistono dati per dimostrare che l’immigrazione abbia avuto un impatto negativo sulla qualità dei servizi sanitari o che abbia ridotto la disponibilità dei posti nelle scuole per i bambini inglesi. Infine, non ci sono dati concreti che dimostrino che l’immigrazione aumenti il tasso di criminalità o che invece abbassi il livello di benessere pro-capite.

 

Complessivamente, il MAC conclude che l’immigrazione europea, anche se aumentata notevolmente dal 2004, non ha avuto un impatto negativo sull’economia e sulla società britannica.

 

I dati presentati in questo rapporto potrebbero portare ad una svolta importante e positiva nel dibattito sull’immigrazione e l’integrazione nel Regno Unito che negli gli ultimi anni è stato caratterizzato da dichiarazioni politiche non fondate su dati oggettivi. La campagna del Leave per il referendum del 2016 ha sfruttato questa mancanza di analisi e informazione per fomentare un sentimento di anti-immigrazione e xenofobia. Politici quali Nigel Farage (del UK Independence Party, UKIP) e Boris Johnson, il famigerato ex-ministro degli Esteri inglese, hanno basato le proprie campagne populiste su notizie spesso false e tendenziose. Seguendo questo trend, il governo inglese dei conservatori si è posto l’obiettivo politico di abbassare il numero degli immigrati che ogni anno entrano in Inghilterra a “poche decine di migliaia” (da un massimo di 300,000 nel 2015) senza però giustificarlo oggettivamente. Questo ha portato a politiche sull’immigrazione sempre più restrittive e ad un operato del ministero degli Interni sempre più orwelliano, volto a creare un vero e proprio hostile environment – ‘un ambiente ostile’ – per i migranti.

 

In quest’ambito, il rapporto del MAC offre invece una rivalsa per me e per tutti quelli come me sia che vengano dall’Italia, dalla Polonia o la Romania, che da anni sono stati accusati di tutti i mali del Paese. Con dati come questi alla mano, è essenziale non permettere più ai politici di sfruttare le false percezioni per mettere l’immigrazione e i migranti in cattiva luce. Chissà mai se anche in Italia, un governo più illuminato e meno populista possa mai commissionare un’inchiesta simile per fare luce sul vero valore dell’immigrazione.

 

 

 

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