Dal 1987 l’organizzazione umanitaria con base a Milano offre assistenza sanitaria e legale a migranti e richiedenti asilo, irregolari e no, senza guardare ai documenti. Sono i volontari del Naga, 400 in tutto, tra loro molti medici e sanitari, che a Milano fanno la differenza. E al capoluogo lombardo, città scintillante che si definisce da sempre inclusiva, è dedicato il quarto report del Naga, frutto di un’indagine sul campo negli ultimi due anni, durante la pandemia. Il titolo del report è già tutto un programma: «Più fuori che dentro. Il nuovo sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati e la condizione di chi ne rimane fuori. Un’indagine qualitativa».
La prima parte del report è dedicata all’analisi della normativa con l’entrata in vigore del decreto Lamorgese, che ridisegna i paletti dei confini dell’integrazione dopo le asperità dei decreti messi in campo dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. I buoni propositi ci sono, nel report del Naga sono più volte sottolineati, ma come sempre ci si scontra con la realtà dei fatti, con la gestione degli enti locali che devono far fronte alla continua carenza di risorse, sia in termini di mezzi che di uomini.
È scritto in modo assai chiaro nel report del Naga, che analizza da principio le differenze tra chi finisce in un Cas, i Centri di Accoglienza Straordinaria, e chi accede al Sai, al Sistema di Accoglienza e Integrazione gestito dagli enti locali: «La novità prevista dal “decreto Lamorgese” è di tornare alle origini ripristinando la possibilità per un richiedente asilo di accedere direttamente a un SAI. Ma chi decide l’inserimento? Dipende dal numero di posti disponibili che sono limitati, insufficienti a rispondere alla domanda di accoglienza. Questo vuol dire che i CAS sono tuttora necessari e pieni di ospiti; il sistema SAI non sembra essere decollato. Inoltre, va segnalata un’altra grave anomalia.
Anche se nelle intenzioni l’idea è ottima, purtroppo nei fatti ci ritroviamo di fronte a un’accoglienza di due tipi: ospiti di serie A e ospiti di serie B. I servizi a loro dedicati nei SAI non sono gli stessi servizi offerti agli ospiti beneficiari di una protezione e questo per forza di cose
Finché esisteranno i CAS, che sono regolati da un capitolato ad hoc e che usufruiscono di un budget ridotto, così come diversa è la rendicontazione delle spese, anche i SAI dedicheranno ai richiedenti asilo lo stesso trattamento. Tutti i servizi più alti, in una scala qualitativa dedicata all’integrazione, saranno loro preclusi. Grave è l’imbarazzo che ci viene segnalato dagli enti attuatori che si trovano a dover gestire questo sistema e a doverlo spiegare ai loro ospiti, così come difficile è la convivenza tra loro all’interno dello stesso centro».
Al Naga si riscontra la storia di sempre di rifugiati e i richiedenti asilo
Ospiti di strutture non sempre all’altezza che inducono solo fragilità, insicurezza, e marginalità sociale che da temporanea tende a diventare permanente. Un dato che si fa ancora più evidente a Milano con l’arrivo del grande freddo.
A dicembre c’è stata più di una polemica sulla decisione del Comune di Milano di far sloggiare, manu militare della Polizia locale, gli homeless che da sempre affollano i sottopassaggi della Stazione Centrale
Anche se il Comune si è giustificato sostenendo la necessità di convogliare gli homeless nelle strutture comunali che da sempre sono l’asse portante del Piano Freddo del Comune, sui social si è scatenata una vera tempesta contro Palazzo Marino, sospettato di aver voluto fare la solita operazione di cosmesi sociale, per togliere di mezzo e rendere nuovamente invisibili gli homeless. I veri soggetti deboli della città che vorrebbe essere sempre scintillante e che alla fine quasi non bada più a persone come M. la cui testimonianza è finita nel rapporto del Naga:
«Sono arrivato in Italia circa due anni fa. Vengo da Koutiala, una città a sud ovest della capitale del Mali. Come molti cittadini africani sono passato per la tratta libica cercando la fortuna, ma trovando solo orrore. In pochi si sono degnati di aiutarmi. Sono solo, non parlo bene l’italiano e ho problemi a una gamba. Vorrei ritornare ad avere i documenti in regola per poter riprendere a cercare un lavoro, ma nessuno sembra potermi aiutare o, semplicemente, ascoltare. Sono perso, vuoto, stanco»
Il Piano Freddo del Comune di Milano offre 2 mila posti letto ai senza fissa dimora, molti gli stranieri, che possono diventare fino a 2700. Secondo il Naga la domanda sarebbe ben più alta, quasi 6 mila persone avrebbero bisogno di assistenza particolarmente nei mesi invernali. Ma il problema, si legge nel rapporto del Naga, è quello di sempre: «La nostra esperienza è che ogni anno si ripropongono le stesse difficoltà: numero di posti letto insufficiente rispetto alla domanda, lunghe liste di attesa, centri di accoglienza notturna ordinaria pieni, bassi standard di accoglienza, frustrazione e fatica degli operatori, scoraggiamento e abbandono delle richieste di inserimento da parte delle persone senza fissa dimora dopo i continui rimandi degli sportelli del Centro Sammartini.
Le persone senza fissa dimora che restano escluse dal sistema si rassegnano a vivere sotto ponti e portici, in aree abbandonate, ospiti nelle chiese o dove capita. Emerge una gestione poco orientata alla ricerca di soluzioni strutturali per chi si trova a essere senza fissa dimora, mancante di un investimento pubblico adeguato e ben indirizzato, e di flessibilità e creatività nel trovare risposte concrete e rispondenti ai bisogni di chi è senza casa. Nonostante i numerosi annunci a mezzo stampa di vari esponenti del Comune di Milano, la realtà che osserviamo testimonia una generale indifferenza e bassa priorità assegnata al tema.
La pandemia ha reso la situazione ancora più grave ed evidente
Se questa è la situazione, dal Naga arriva non solo la denuncia di quello che non va, ma pure una serie di proposte molto concrete e non irrealizzabili per far fronte ad un fenomeno che solo chi non vuole affrontarlo in modo strutturale chiama ancora emergenza. Fra le proposte più fattibili ci sono l’apertura di servizi igienici pubblici sempre accessibili a tutti, gratuiti, distribuiti in tutta la città. Poi l’organizzazione di un servizio telefonico e di pronto intervento attivo 24 ore su 24 gestito dai servizi sociali del Comune di Milano; l’ampliamento di un sistema semplice per richiedere e ottenere servizi fondamentali come l’iscrizione anagrafica per le persone senza fissa dimora. Perché essere esclusi dall’anagrafe significa non avere accesso a una serie di diritti, come quello dell’accesso alle cure e al sistema sanitario nazionale. Un problema a cui da 35 anni si dedicano con mai troppo riconosciuto valore i medici, i sanitari e i volontari del Naga di Milano.
Foto/Flickr: Rui Duarte