“Parli italiano benissimo!”. Ecco, se faccio una statistica delle battute che ho ricevuto in Italia nella mia vita da quando ero piccolina questa è stata la più comune. Perché nella testa di chi fa questa domanda io non posso essere italiana per niente. Sono stata più fortunata di tanti ad arrivare in Italia cinque anni fa con un aereo da Londra e non con il barcone da un Paese in guerra o alla fame, e sottolineo che arrivare con un barcone non è un crimine ma è una tragedia che io non ho vissuto. Sono italiana “ius sanguinis”, mia madre è italiana e mio padre yemenita, sono nata a Firenze, ma cresciuta a Londra e non sono pochi quelli che mi definiscono il (bel) volto di una generazione di musulmani nati e cresciuti a cavallo di due mondi, l’Occidente e il Medio Oriente. Mio padre e mia madre mi hanno educato con intelligenza, lasciandomi libera di scegliere cosa volessi fare da grande, e di professare la religione che più mi piaceva. Fu la morte di mio padre, a cui ero molto legata, a spingermi a lasciare Londra, dove lavoravo come avvocato per un importante studio legale, e a ritornare in Italia per un breve periodo, che non fu tale perché poi ci sono rimasta, perché qui ho trovato l’amore.
A chi mi chiede come si può sentire una donna figlia di una coppia mista, io rispondo che mi sento italiana con la testa inglese e con il cuore musulmano, ma niente paura, semplificando il concetto mi sento cittadina del mondo, nel pieno rispetto di due professioni di fede. Festeggio con gioia il Natale, la Pasqua, lo stare tutti insieme in famiglia. Sono una musulmana italiana e alla religione non c’è un’appartenenza di razza. Al mio arrivo in Italia ho deciso di fondare a mie spese un’associazione che potesse aiutare le donne di tutto il mondo che si trovavano in difficoltà, e riuscirci mi ha regalato una felicità immensa, paragonabile al giorno in cui mi sono laureata in Legge (da immigrata, in questo caso “ius soli”, inglese) con il massimo dei voti presso la prestigiosa Guildhall School of Business and Law di Londra.
Con la mia associazione no profit Senza Veli sulla Lingua porto avanti una campagna di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne insieme alla vicepresidente Patrizia Scotto di Santolo, giornalista. Parlarne oggi è fondamentale perché nessuna donna vittima di abusi possa sentirsi sola e indifesa e, grazie al nostro impegno quotidiano, negli ultimi quattro anni siamo riuscite a salvare centinaia di donne italiane e straniere maltrattate dai loro compagni. Chi si rivolge alla nostra associazione riceve una prima assistenza totalmente gratuita grazie ad un team di legali altamente qualificati, tra cui Alessia Sorgato, Daria Pesce, Massimo D’Onofrio e Sissy Ghali. Collaborano con noi anche diversi mediatori culturali, la professional counselor Annalisa Cantù, nonché psicologi, commercialisti e perfino dentisti e chirurghi per la ricostruzione facciale. In qualche caso siamo state in grado di dare supporto economico a quelle donne che non potevano provvedere a se stesse e le abbiamo aiutate a cercare un lavoro. Il nostro obiettivo è ridare fiducia e regalare un sorriso a chi ha subito dei maltrattamenti.
Il nome dell’associazione Senza Veli sulla Lingua è stato scelto perché il velo, simbolo del silenzio e dell’omertà di chi subisce in silenzio atti persecutori dal proprio partner, deve essere sollevato e buttato al vento. Seguo tutti i casi personalmente e mi assicuro che tutte le donne che si rivolgono a noi vengano assistite con la massima attenzione. Per me la vita di queste persone è sacra.
È vero che oggi le donne, rispetto al passato, se subiscono una qualsiasi forma di violenza, si confrontano, ne parlano, si recano dalle forze dell’ordine, vanno nei centri antiviolenza o nei pronto soccorso, ma i dati ci dicono anche che aumenta il desiderio di controllo e possesso da parte degli uomini sulle donne, soprattutto quando la relazione si è conclusa. E probabilmente questa è la motivazione che spinge molti uomini ad uccidere la propria compagna.
Quello che noi come associazione possiamo fare è anche impegnarci affinché le istituzioni mettano da subito in atto le politiche attive per far fronte alla violenza maschile sulle donne, così come richiesto dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dal Governo italiano, e richiamata nel Piano nazionale per contrastare la violenza.
Nell’Islam la donna è sacra, se le donne nei paesi islamici si trovano in condizioni di inferiorità, è colpa della politica, non della religione. Io, infatti, sono la dimostrazione che esistono le musulmane emancipate.
A questo proposito abbiamo organizzato, in collaborazione con il comune e la provincia di Prato, un’azione di contrasto alla violenza di genere, partendo da un progetto di “prevenzione sentimentale” nelle scuole superiori, che verrà riproposto in altre scuole d’Italia.