Marianna Hu, 22 anni, italiana di origini cinesi, cittadina italiana e non più cinese perché Pechino non ammette il doppio passaporto, studentessa di Giurisprudenza, è l’esempio vivente di cosa voglia dire vivere sulla propria pelle l’incontro tra due culture: «Io e la mia sorella appena più giovane siamo cresciute con una famiglia italiana. I miei genitori hanno un ristorante, sono molto impegnati col lavoro, hanno cresciuto le nostre sorelline più piccole. Da allora ho sempre chiamato mamma sia la mia mamma biologica che quella italiana».

Nessun conflitto?

«Nella mia infanzia ho iniziato a rifiutare la Cina. Fino ai 2 anni parlavo cinese, poi ho smesso. Solo da qualche tempo ho ripreso a studiarlo. Nella mia casa italiana si mangia italiano, in quella cinese cibo cinese. Alla domenica i miei genitori italiani mi portavano al ristorante dei miei genitori cinesi. Volevano a tutti i costi che salutassi il nonno in lingua cinese, una imposizione che odiavo. Mia nonna italiana mi ha raccontato che da bambina mi mettevo davanti allo specchio cercando di tirarmi gli occhi a mandorla».

Chissà che shock andare a scuola…

«Uno shock culturale sì. Ma non sono mai stata vittima di bullismo. Alla fine non so nemmeno dire quando mi sono resa conto di essere diversa. A 15 anni, dopo che lo sono diventati i miei genitori cinesi, anch’io ho preso la cittadinanza. Ma il recupero con il mio Paese di origine è stato più recente. Per conoscere le mie radici sono stata 4 mesi a Pechino. Forse è anche lì che ho scoperto di essere straniera, una italiana in Cina, una cinese in Italia».

Questo suo rifiuto della Cina è stato un modo per marcare la distanza con i suoi genitori biologici?

«La conflittualità c’è stata. È una cosa che ho razionalizzato solo crescendo. Mia sorella ha qualche problema in più». 

C’è qualcosa che le ha dato in più crescere con una famiglia italiana?

«Alle elementari sono stata battezzata. Poi ho fatto catechismo. I miei genitori italiani sono cattolici. Quelli cinesi sono buddisti. E poi collaboro con un gruppo di giovani della parrocchia».

Lei è intervenuta recentemente a Milano a un convegno della Pastorale dei Migranti…

È una realtà che mi interessa molto. Ho fatto anche domanda per poter fare servizio civile. Mi piacerebbe lavorare con il patronato per le migrazioni. Io sono stata aiutata molto. Ho avuto la fortuna di aver avuto una famiglia italiana. Vorrei restituire un po’ di quello che ho avuto.

Dove lo immagina il suo futuro?

«Mi sto specializzando in Diritto internazionale. Quindi lo immagino all’estero, non in Italia, non a Milano anche se è la mia città. Mi piacerebbe incontrare altre culture. Lavorare all’estero, magari anche in Cina. Il colore del passaporto che ho in tasca non è importante. Spero che un giorno la Cina permetta la doppia cittadinanza».