Il suo nome è Cateluta Cuzuma, Catia per tutti, è romena e vive in Italia, a Brescia. Come tutti i bresciani è una persona diretta. Ha scelto di vivere in Italia perché, nonostante in Romania studiasse all’università e avesse la sua famiglia, è sempre stata consapevole di voler vivere qui, dove avrebbe avuto possibilità di soddisfare la sua curiosità e la sua ricerca di nuovi stimoli.
Nel 2007, grazie all’aiuto di suo cognato e sua sorella, trova lavoro in un bar. Non ha nessuna esperienza come barista, ma la voglia di lavorare è tanta che la titolare, dopo due settimane, decide di assumerla. Catia, però, ha ancora pochi esami per laurearsi in Romania: «Chiedo, allora, di poter usufruire delle mie ferie per andare a dare i miei esami. La titolare mi dice che non ci saranno problemi ma, dopo due giorni, mi danno una busta con duecento euro e non mi assumono più».
Dopo qualche settimana trova un altro lavoro in un’impresa di pulizie. «Per me era una sfida, avere addosso una vestaglia di due taglie più grandi, andare a pulire nelle aziende o negli appartamenti, anche se sapevo che sarebbe stato solo per un periodo. Dovevo sopravvivere per conseguire la laurea in Romania. Da questo lavoro, però, ho imparato molto, ad esempio la soddisfazione di un lavoro ben fatto». Catia lavora così bene che viene notata dal titolare di un’impresa metalmeccanica dove va a fare le pulizie.
L’azienda le offre di andare a lavorare solo per loro, quattro ore di pulizie e quattro ore come jolly nei reparti. Contratto a tempo determinato. Lei accetta e mi dice: «Non sapevo mai ogni mattina dove mi avrebbero mandata eppure, dovunque sia andata, ho imparato velocemente ed ero apprezzata per questo».
Finisce il contratto di lavoro, torna in Romania, si laurea e rientra in Italia nel luglio 2012. Non fa ritorno nell’azienda metalmeccanica, ma inizia a lavorare in una famosa pasticceria di Brescia, come barista. Mentre mi racconta, mi sembra di vederla dietro il bancone del bar intenta non solo a fare il suo lavoro, ma ad osservare tutto ciò che accade, e a porsi continuamente domande. A iniziare dalla proprietaria, che risparmiava sulle spalle dei lavoratori, non pagandoli tutti i mesi, ma forfettariamente e in nero, negando ferie e malattie.
Catia cerca di porre le domande alla titolare: la risposta è sempre di stare al suo posto, ma mai il licenziamento, perché è troppo brava e preziosa. Ciò nonostante, le domande hanno bisogno di risposte, così Katia decide che le sue domande troveranno risposte all’università.
«Al secondo anno, vedendo che non mi dava spiegazioni su queste ingiustizie, mi iscrivo a Scienze dei servizi giuridici all’università di Brescia. Alla fine dell’apprendistato – mi mancavano cinque o sei esami alla laurea – ho deciso di lasciare la pasticceria per dedicarmi allo studio e alla tesi. Finisco gli esami che dovevo dare e mi laureo nel 2014 in Diritto del lavoro, facendo una tesi sull’immigrazione».
Catia, all’università, incontra la professoressa di Diritto del lavoro a cui sarà sempre grata, che la presenta a Laura Valgiovio, segretaria generale della FIM Cisl di Brescia, dove andrà a fare lo stage curriculare. Scopre così l’esistenza del sindacato. In Romania non c’è una cultura sindacale e lo trova un mondo interessante e completamente nuovo per lei.
Dopo la laurea, inizia il percorso per diventare consulente del lavoro e gli stage presso gli studi professionali ma, come sempre, anziché essere addestrata al mestiere, viene usata per caricare dati: non avrà mai un contratto di lavoro da studiare o una causa di lavoro da seguire. «Mi annoio da morire: caricare dati era una noia totale. Chi mi prendeva come stagista non voleva davvero insegnare a fare il consulente. Il titolare dello studio faceva contrattazione aziendale, lavorava con i sindacalisti, ma non ha mai avuto intenzione di insegnarmi davvero questo lavoro. Ai ragazzi si fanno fare le fotocopie, senza trasmettere l’amore per il lavoro che si sta svolgendo».
Poi Laura Valgiovio la chiama per un lavoro di un anno. «Il mio lavoro consisteva nel leggere tutta la contrattazione aziendale dal 1950 a oggi e digitalizzarla. Ho detto di sì, anche se all’inizio avevo paura di un lavoro d’ufficio. La prospettiva era di un anno. Il progetto va avanti, inizio a leggere i contratti e faccio un sacco di domande all’attuale segretario generale della FIM di Brescia, Stefano Olivari, che allora si occupava della contrattazione. Inizio a incuriosirmi sempre di più su come funziona il sindacato».
Lei osserva sempre e si pone domande. «Mi sono chiesta se sarei stata in grado di fare quel lavoro. Mi faceva paura girare in macchina – fino al 2015 giravo con i mezzi pubblici – e notavo che la loro vita privata era molto sacrificata». Ma, presto, anche queste domande avranno una risposta. Un collega va in pensione e la scelgono per sostituirlo: l’affianca per due settimane, l’accompagna nelle aziende della sua zona. Ma due settimane sono poche per imparare tutto. Catia si ritrova in mare aperto: impara così a nuotare tra le vertenze sindacali, le richieste dei lavoratori, che convince anche a iscriversi alla CISL.
Racconta così i suoi inizi: «Il sindacalista deve essere amico, avvocato, consulente del lavoro, mettersi nei panni dell’azienda, svolgere tanti ruoli diversi. Da principio mi sembrava molto complicato, perché dovevo andare azienda per azienda per farmi conoscere e mi sembrava di vendere qualcosa. Non sapevo che il sindacato e la richiesta della tessera erano due cose inscindibili, infatti senza l’affiliazione al sindacato non puoi andare a battagliare a livello nazionale. Ed è giusto che sia così, ma lo comprendi con l’esperienza e lavorando sul campo».
Per lei è importante riuscire ad entrare con il suo lavoro nelle aziende medio piccole, perché lì il sindacato può realmente aiutare anche in termini di organizzazione del lavoro. Sentendola parlare, il vecchio ruolo del sindacalista assume una veste nuova. Non più solo un aiuto ai lavoratori, ma a tutta la struttura aziendale. In questo ultimo anno, con la FIM di Brescia, stanno sperimentando questa nuova strada, in cui lavoratori e azienda contribuiscono insieme alla conduzione, attraverso la possibilità dei lavoratori di dire la loro e proporre miglioramenti all’interno della fabbrica.
E, in tutto questo, i lavoratori stranieri, come si pongono? I lavoratori stranieri sono più cauti nei confronti del sindacato. La maggior parte arriva da luoghi dove le politiche sindacali sono inesistenti e le loro prime esperienze lavorative in Italia sono state critiche. A questo si aggiunge la difficoltà di non parlare e capire bene la lingua. Per loro è importantissimo potersi fidare. «Quando dico loro di essere straniera, e che capisco le loro difficoltà perché le ho vissute, si aprono e si può iniziare a lavorare insieme. È molto più difficile che intraprendano un percorso di partecipazione. Ancora oggi, però, mi stupisco di quanti lavoratori stranieri non facciano valere i loro diritti perché non sanno che il sindacato esiste e non si informano neppure. Non sanno leggere la loro busta paga. Ho dovuto spiegare a un lavoratore moldavo che stava perdendo circa 200 euro al mese che gli spettavano di diritto. Ma molte volte, indietreggiano, non vogliono, hanno paura di perdere il posto di lavoro. La maggior parte accetta tutto pur di non perderlo. Se invece lavorano nelle grandi aziende, allora l’integrazione è in qualche modo più semplice e le condizioni contrattuali più rispettate: hanno più coscienza dei loro diritti. Ma nelle piccole medie aziende, non riescono. In alcune, essendo in maggioranza stranieri non si conoscono le regole, inoltre è facile che in una piccola azienda i lavoratori stranieri facciano parte tutti della stessa famiglia. Per cui, se nessuno fa una vertenza o chiede spiegazioni sul suo contratto, non lo faranno di sicuro gli altri. Raramente, può succedere il contrario: se uno si attiva, gli altri seguono».
Catia dice anche che, all’interno delle aziende, è difficile trovare il razzismo che si sfoga sui social: c’è solidarietà tra operai. Ogni tanto c’è la battuta, ma episodi di razzismo no. Certo è che, all’interno delle aziende, si dovrebbe dare più importanza alla formazione del personale straniero. Molti incidenti sul lavoro sono causati da una scarsa alfabetizzazione. Non si può pensare che si possano osservare tutte le norme di sicurezza, se non sai leggere i cartelli informativi. Per questo, a molte aziende lei ha chiesto di fare corsi pratici per la sicurezza e cartelli con dei disegni esplicativi.
Catia non ha solo la vita sindacale, ama la lettura, ama il suo fidanzato, il suo luogo dell’anima è una stradina che porta all’università di Brescia. Lì si sente felice. Ha ancora molti sogni e desideri. Uno di questi, per rimanere in tema di sindacato, è portare un po’ di cultura sindacale anche in Romania, dove quando racconta del suo lavoro la ascoltano con stupore.