Klodiana Çuka, italoalbanese, nel nostro Paese dal 1992, mediatrice culturale, nel 2003 fonda Integra Onlus che arriva a gestire 55 case di accoglienza per migranti in 7 regioni italiane, prima di chiudere tutto quanto l’anno scorso: «Non si può fare accoglienza senza integrazione. Con i decreti Salvini non c’erano più le condizioni per il Terzo Settore in questo campo. Le banche hanno chiuso i fondi. Lo hanno fatto diventare un business».
Dopo la laurea in lingue ha gestito lo sportello migranti del comune di Lecce quando era sindaco Adriana Poli Bortone, si è impegnata nel sociale con riconoscimenti nazionali e internazionali, ha collaborato con il Cnel e, dopo una militanza in Alleanza Nazionale, nel 2010 è diventata la prima albanese candidata alle elezioni regionali con la lista Puglia prima di tutto.
Nel 2017 fonda The Bridge for future foundation, impegnata a salvare la scuola Cor Jesu a Tirana. Quando la definiscono imprenditrice si mette a ridere ma poi ricorda: «L’ex ministro Claudio Martelli mi ha definito “Un prodotto riuscito della mia legge”».
Klodiana Çuka, perché in Italia?
«Sono venuta nel 1992 con la legge Martelli. A mio nonno nel 1945 espropriarono le terre. Era additato come un nemico del popolo. E noi eravamo i discendenti di un nemico del popolo. Proseguire gli studi universitari era diventato un problema. Quando avevo 14 anni un funzionario del governo disse a mia madre che era meglio che lasciassi perdere la scuola. Mio nonno diceva sempre che non potevano ammazzarci i sogni o la libertà».
Quindi è venuta per studiare?
«Mi sono iscritta all’università di Lecce solo nel 1995. Prima ho fatto la collaboratrice domestica, la sarta, la segretaria, l’impiegata, l’agente di commercio, vendevo enciclopedie. Non ho mai avuto vergogna di quello che ho fatto. Fino al 2002 sulla carta d’identità avevo scritto collaboratrice domestica. Nel 2001 mi sono laureata con il massimo dei voti in Lingue e letterature straniere, nel 2002 mi sono diplomata come Mediatrice linguistica culturale».
Una corsa tutta in salita…
Quando sono arrivata parlavo pochissimo italiano. Volevo sapere tutto, dalla cultura alla cucina, volevo integrarmi.
E voleva aiutare anche gli altri ad integrarsi.
«Nel 1998 ho iniziato a collaborare con lo Sportello Accoglienza Migranti del comune di Lecce, che poi con Integra avremmo gestito direttamente dal 2005 al 2007».
La svolta arriva qualche anno dopo.
«Nel 2011 con il centro di accoglienza di Manduria in Puglia abbiamo iniziato ad affiancare gli albergatori che ne hanno la gestione. Nel 2013 abbiamo partecipato ai primi bandi per gestire sia i Cas che gli Sprar. All’inizio tra Lecce e Taranto, dal 2014 il Cas di Milano, fino a quando abbiamo iniziato a gestire 55 case di accoglienza in Puglia, Lombardia, Lazio, Calabria, Sicilia e Sardegna…».
Un’imprenditrice…
«È stato difficile e complicato (ride). Sono una creatura del comune di Lecce di Adriana Poli Bortone. Sotto la sua amministrazione Lecce era diventata la punta avanzata delle politiche di integrazione. È la prima ad inventarsi il consigliere comunale aggiunto per i migranti. Poi è arrivata la legge Bossi-Fini che è stata una stangata per tutti».
Perché nel 2019 ha chiuso tutte le strutture?
«Non ci può essere accoglienza senza integrazione. Da ministro Matteo Salvini ha fatto una politica antiuomo, buttando per strada i migranti. Io sono credente. Gesù diceva: «Bussate e vi sarà aperto». Per me prima vengono gli esseri umani, non gli italiani, non i migranti, solo gli esseri umani. Avevamo 1400 collaboratori e non c’erano più le condizioni per andare avanti. È diventata una sofferenza vedere come un progetto sociale fosse diventato solo un business. Poi le banche che hanno chiuso i fondi, avevano paura di Salvini. Mancava la liquidità. Non potevamo fare più i corsi di italiano per stranieri, non potevamo fare più niente. Hanno solo distrutto l’accoglienza diffusa».
Però Matteo Salvini non è più al governo.
«Ma i suoi decreti sono ancora in vigore. Destra e sinistra, sopra e sotto, fanno solo demagogia, usano i migranti ma nessuno ha fatto una vera riforma. L’Italia avrebbe bisogno di più coraggio. Non parliamo dell’Europa che non esiste. Le regolarizzazioni a metà non servono. Ci sono 700 mila persone che andrebbero integrate. Sono persone che abbiamo mantenuto e poi buttato per strada, alla mercè del caporalato o della criminalità».
Oggi è impegnata con The Bridge for future foundation.
Voglio stare vicino all’Albania. Aiutare i bambini e i ragazzi ad avere un’istruzione adeguata. Solo l’istruzione può salvare il mondo dall’ignoranza.
Molto impegnativo per una non imprenditrice…
«Fa parte del mio carattere. I primi vent’anni della mia vita sono stati in Albania. Diciamo che ho un carattere albanese svizzero».