L’approvazione del provvedimento sulla regolarizzazione degli immigrati irregolari ha suscitato le prevedibili polemiche da parte dell’opposizione ma anche le riserve fra molti esperti, come ad esempio il Grei250, il Gruppo di riflessione su regolarizzazione inclusione. Formato da giuristi, ricercatori, avvocati, attivisti italiani e di origini straniere, e guidato da Ugo Melchionda, corrispondente italiano dell’OCSE per l’International Migration Outlook, il Gruppo ha criticato la scelta di limitare la regolarizzazione solo ad alcune categorie di lavoratori, rischiando di creare ulteriori diseguaglianze e tensioni sociali. Si poteva e si deve fare di più? Come si risolve questa controversia infinita sui migranti? Come affrontare le politiche di inclusione dei nuovi cittadini? Lo abbiamo chiesto al sindacalista italomarocchino Aziz Sadid, responsabile nazionale della Fim Cisl immigrazione.
Il provvedimento sulla regolarizzazione, dopo una trattativa estenuante, è stato approvato. La ministra Teresa Bellanova ha parlato di invisibili che ora lo sono meno. Si poteva ottenere di più?
«Il ministro Bellanova ha tenuto il punto. Certamente si poteva fare di più, ma comprendo anche che alla fine si sia dovuti arrivare a una mediazione. È stato un primo passo avanti, una scelta di legalità e sicurezza ora più che mai necessaria, con effetti positivi molteplici».
Quali sono, concretamente?
«Si offre l’opportunità di vivere e lavorare legalmente a chi già si trova nel nostro Paese ma che, senza titolo di soggiorno, è spesso costretto al lavoro in nero e allo sfruttamento. Ora si potrà avere un maggiore controllo del territorio dove centinaia di migliaia di persone, di cui oggi non sappiamo nulla, potranno uscire dall’anonimato producendo maggior sicurezza per tutti. Soprattutto in un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo. Si potranno anche ottenere nuove entrate fiscali e contributive, rispondendo ai tanti datori di lavoro onesti che, bisognosi di personale, possono assumere persone finalmente in regola. Resta ancora molto da fare anche per gli altri lavoratori. Che il decreto si sia incagliato sulla vicenda migranti la dice lunga, però, su come il Paese sia ancora fermo alla narrazione pre-Covid-19, con forze politiche che continuano a fare propaganda sulla pelle dei migranti. Occorre che la discussione non si limiti a favorevoli e contrari, perché in gioco ci sono i nostri valori, su cui si fonda anche la nostra Costituzione e il futuro del nostro Paese».
Una propaganda che spesso trova sponda anche nei media, alimentando un cortocircuito che polarizza la discussione intorno al dito, senza guardare la luna di quel grande cambiamento demografico che dovrà essere gestito. Per questo anche su immigrazione e cittadinanza o si fa un salto in avanti oppure anche questa pandemia non ci avrà insegnato nulla.
Perché è così complicato regolarizzare i lavoratori stranieri?
«La regolarizzazione degli invisibili e degli irregolari non è complicata, è una scelta puramente politica e risponde a logiche di consenso e di visione della società che i partiti portano avanti. La perenne campagna elettorale e la mancanza di idee porta la politica a mettere sul tavolo la merce che si vende meglio: la paura e l’odio. La storia ci insegna che questa modalità di procacciarsi il consenso porta sempre male. La proposta di una soluzione temporanea “a tempo determinato”, proponendo un permesso di soggiorno di pochi mesi, è una soluzione pilatesca, che fa un regalo alla malavita organizzata e non risolve il problema dello sfruttamento. Ci vuole più coraggio e determinazione per contrastare l’illegalità e regalare orizzonti di opportunità a tutti e alla collettività».
Il sindacalista Aboubakar Soumahoro sostiene che i “braccianti vanno regolarizzati perché essere umani e non perché necessari”, anche lei è convinto di questo?
«Aboubakar ha ragione, ricordiamoci che stiamo parlando di persone, esseri umani meno fortunati di noi, non si tratta di oggetti. Non dimentichiamoci che una buona fetta di queste persone sono diventate irregolari grazie a decreti governativi, in ultimo i “decreti sicurezza”. Regolarizzarli vuol dire dare loro un documento, una tessera sanitaria, diritti e doveri».
Ma c’è anche un fattore economico da non sottovalutare che è appena sotto la vernice della narrazione politica contro l’immigrazione, ed è quello dello sfruttamento, paghe da fame e lavoro nero. Una situazione che, diciamolo chiaro, a qualcuno, in genere le mafie, fa comodo perché sulla pelle di queste persone ci guadagna. È la storia che si ripete.
È giusto concentrarsi sempre su logiche emergenziali o si dovrebbe pensare a politiche per il lavoro che favoriscano anche a quei nuovi cittadini, che sono professionisti?
«Non siamo davanti a un’emergenza ma a un fenomeno epocale con cui dobbiamo fare i conti. In Europa su oltre 510 milioni di cittadini, gli immigrati sono appena l’8.3%, in Italia il 7%. I trend sull’immigrazione ci dicono che la popolazione dell’Africa passerà dai 1.2 miliardi di persone a 4.4 miliardi nel 2100: almeno mezzo miliardo premerà per entrare in Europa. Per questo la questione immigrazione non si risolve chiudendo i confini o girandosi dall’altra parte. C’è bisogno di politiche che abbiano capacità progettuali e visione. Fino ad oggi sono state rare le volte in cui si è tentato di discutere e progettare politiche capaci di rispondere alle migliaia di persone che abitano e vivono nel nostro Paese e che vorrebbero anche poter contribuire al suo miglioramento e crescita».
Varie e diverse sono le professionalità che, per ostacoli burocratici e scelte politiche mirate, hanno spesso portato a esclusione e non, invece, inclusione. Includere significa permettere a chi ha potenzialità da mettere al servizio della collettività di dare il proprio contributo per una crescita collettiva.
Il provvedimento si limita a regolarizzare solo alcune categorie di lavoratori.
«Non si tratta solo di braccianti agricoli, ma anche di colf e badanti, di cui un Paese che invecchia come l’Italia ha un gran bisogno. Sono persone che sono tra di noi da diverso tempo, gli slogan e le facili promesse non hanno minimamente risolto il problema. Sono lavoratori non regolari che continuano a lavorare, senza alcuna tutela e contratto. Non si possono fare distinzioni e categorie tra gli invisibili e non regolari».
La politica deve scegliere da che parte stare: caporali ed organizzazioni malavitose oppure legalità e civiltà. La scelta pilatesca di regolarizzare solo alcuni e lasciare altri in balia dell’illegalità è una non scelta e un favore alla malavita.
La discussione sulla regolarizzazione dei braccianti nasce dall’enorme problema della raccolta della frutta nei campi agricoli. In Italia però ci sono anche migliaia di giovani di seconda e terza generazione che, ufficialmente, non sono cittadini italiani.
«Parliamo di circa 1 milione di ragazze e ragazzi che nei fatti sono già cittadini italiani, nati in Italia, figli di un Paese che però fatica a riconoscerli. La discussione sullo ius soli va riaperta ma per arrivare al riconoscimento di questo diritto. Sentirsi pienamente cittadini italiani ed europei e avere una forte appartenenza è uno scatto di dignità. È ancora aperta la ferita per quello che è accaduto durante il governo Gentiloni quando si è “barattato” l’intervento e la modifica delle norme sul riconoscimento della cittadinanza italiana con altro».