Tornare a Otranto e sorprendersi perché nella città più orientale d’Italia, dove si svolge la decima edizione del Festival dei Giornalisti del Mediterraneo, ci si imbatte nell’installazione de L’Approdo. Opera all’Umanità Migrante di Costas Varostos. Intravedere oggi la sagoma, che evoca un naufragio avvenuto in un’epoca archiviata nella nostra mente perché sovrastata dalle immagini dei gommoni che arrivano dalla Libia, ci obbliga a riflettere su come eravamo e cosa siamo diventati.

L’installazione si trova di fianco alla ruota panoramica che gira e fa pensare che, dopo aver accolto allora 27 mila albanesi, oggi giriamo a vuoto come la ruota. Divisi sull’immigrazione, di cui parliamo ormai solo in punta di tuìt e di frasi facili, sempre più spesso pronunciate senza consapevolezza e buttate nella rete a casaccio o attraverso algoritmi per seguire i parametri di una comunicazione caotica, irresponsabile, persino folle.

E invece, dietro alla piazza dedicata ai migranti, per una settimana l’Europa attraversata dal populismo e dall’impotenza di fronte al Mediterraneo sconvolto e stordito da guerre che innesca senza coglierne appieno le conseguenze, la guardiamo da qua: da Otranto.

Perché è qui che sono arrivati giornalisti, scrittori, diplomatici, analisti per riempire le piazze bianche del centro storico della città, dove la gente passeggia e si ferma per ascoltare cosa succede sulle altre sponde del Mediterraneo. Attenti, i passanti hanno ascoltato i racconti appassionati e anche scoraggiati di inviati di guerra. Quasi nessun giornalista blasonato o sfiancato da troppi anni passati dietro una scrivania a immaginare un mondo che era nelle loro teste, a Otranto abbiamo visto molti giovani che vogliono vedere il mondo con i loro occhi. E continuano a varcare i confini proibiti per raccontare conflitti che si trascinano, apparentemente senza soluzioni. Al Festival dei giornalisti del Mediterraneo l’ospite d’onore è stato l’ambasciatore Marocco, Hassan Abouyoub, ma i convitati di pietra sono stati il conflitto siriano e libico.

«Con la decima edizione del Festival Giornalisti del Mediterraneo apriamo una finestra sul tema della cooperazione internazionale, a partire dal Mediterraneo, luogo di approdo dove si giocano i destini di centinaia di migliaia di migranti in lotta per la propria sopravvivenza e per il legittimo diritto a vivere una vita degna», ha spiegato a Radici Tommaso Forte, ideatore del Festival. «Il raggiungimento del decimo compleanno rappresenta un grande traguardo: siamo riusciti in tutti questi anni ad aprire un dibattito di spessore, per capire, alla luce dei conflitti nel Mediterraneo che indirettamente toccano anche il nostro Paese, quali sfide ci attendono per il futuro. Sono tanti i talenti che ci permettono di conoscere storie che altrimenti rimarrebbero nascoste. Attraverso il Festival, da dieci anni a questa parte, vogliamo oltre che raccontare le criticità di alcune aree del Medio Oriente, mettere in rete strumenti e riflessioni che possano favorire la costruzione di un sistema integrato di cooperazione che porti ricchezza e benefici, sia dal punto di vista culturale che sociale, ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo». Ed è stato all’interno di questa cornice che Radici ha potuto raccontare la propria avventura: nei dibattiti abbiamo portato la nostra narrazione sulla crescita dei nuovi italiani e la trasformazione della società, spesso ignorata per un altro tipo di guerra, quella dei proclami opposti della demagogia. La nostra esplorazione è stata accolta con generosa curiosità e manifestazioni di incoraggiamento, perché anche noi attraversiamo confini invisibili nelle città italiane per descrivere l’evoluzione di un Paese cambiato con l’immigrazione.

Tornando al Mediterraneo, a latere del Forum “Reinventare il Mediterraneo: dialogo, sfide, opportunità” a Radici l’ambasciatore del Marocco Hassan Abouyoub ha detto: «Sono trascorsi quasi cinquant’anni dai primi accordi siglati, per mezzo del trattato di Roma, con il Paesi del Sud del Mediterraneo, del Maghreb, e sul piano della stabilità e della pace non abbiamo fatto progressi notevoli. La crisi del Medio Oriente si sta aggravando. Alcuni Paesi del Sud del Mediterraneo, dopo la primavera araba, sono ancora alla ricerca della strada giusta per reinventare le loro istituzioni». «In questo momento storico», ha aggiunto, «dove il paesaggio politico europeo sta cambiando in modo preoccupante, dove il Sud è ancora alla ricerca della sua strada, c’è bisogno di aprire un dibattito sul modello condiviso di gestione geostrategica del Mediterraneo. È necessaria una visione condivisa, una visione di solidarietà e soprattutto di corresponsabilità. L’Italia è il Paese del Nord del Mediterraneo che avrebbe da guadagnare di più nell’aprirsi al Sud. Infatti ricerche dimostrano che un’Italia più aperta al Sud guadagnerebbe in termini di prosperità e benessere collettivo molto di più di adesso».

Tante le donne al Festival dei giornalisti del Mediterraneo e tanti i libri presentati.

Laura Silvia Battaglia, autrice della La sposa Yemenita (BeccoGiallo, 2017) e voce di Radio3 Mondo, racconta la complessità della guerra con una semplicità straordinaria. Intervenuta nel dibattito “Fake news, giornalismo e guerra. La difficile ricerca della verità” ha osservato: «Parlare di fake news in guerra è pretestuoso perché la guerra è il regno della propaganda. Bisogna saper usare il giornalismo investigativo e gli open data, senza demonizzare la rete che offre molte opportunità per essere cani da guardia e non da compagnia».

Matrimonio siriano della giornalista di Rainews 24 Laura Tangherlini (edizioni Infinito, 2017) invece è il racconto di un matrimonio anti convenzionale, vissuto come una testimonianza di amore per i siriani e celebrato in un lungo viaggio tra il Libano e la Turchia: il libro è stato presentato da Elisa Mariani, la spingitrice di virgole di Radici.

E ancora Incognita Libia: Cronache di un Paese sospeso di Michela Mercuri (Franco Angeli editore, 2017), che ha provato una volta di più a spiegare la poco lucida follia della guerra libica, le fazioni in campo, le difficili soluzioni da trovare. Mentre Francesca Bellino ha dialogato con Sara Lucaroni a partire dal suo romanzo Sul corno del rinoceronte (L’asino d’oro, 2014), ambientato all’inizio della primavera araba (prima che diventasse un lungo inverno). Asmae Dachan, con Il silenzio del mare (Castelvecchi, 2017) ha affrontato diversi temi: l’esodo dei siriani, la costituzione del Califfato di Daesh e la radicalizzazione islamista. Senza dimenticare la presenza del commissario Carlo Parini, protagonista di Mare Monstrum, Mare Nostrum (UTET, 2015), che a Otranto ha parlato di vecchie e nuove rotte migratorie e della sua singolare esperienza di investigatore su scafisti e trafficanti di esseri umani.

E poi dibattiti sugli scenari geopolitici nel Mediterraneo, il dialogo intereligioso, l’integralismo islamico. E molto, anche, perché no, sul come continuare a fare i giornalisti in un mondo complesso e sempre più nascosto agli occhi dell’opinione pubblica per via di una pericolosa semplificazione. Una settimana di workshop, seminari, incontri che ci hanno aiutano a capire, a capirci e a guardare l’Europa da Otranto. Un’Europa che, vista da qui, sembra sempre più miope.

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