«La mia storia di libertà è iniziata due anni fa con una telefonata al centro antiviolenza». Così inizia la testimonianza di Lizzie (nome di fantasia), originaria della Costa d’Avorio, che racconta del suo percorso di uscita dalla violenza domestica: «Da più di un mese avevo con me il bigliettino del numero verde. Me lo rigiravo in mano, componevo il numero e poi riagganciavo con in testa mille domande: dove andremo ad abitare? Come potrò mantenere le mie figlie? Come potrò proteggerle?».

Lizzie e tante altre donne di Padova hanno potuto trovare nel Centro Veneto Progetti Donna un aiuto per cambiare vita e ricominciare. Il tema della violenza domestica è più attuale che mai: secondo i dati del VII Rapporto Eures, infatti, il lockdown ha portato a un aumento dei casi di femminicidio.

L’esperienza delle operatrici di Padova con le donne straniere vittime di violenza

«Nelle prime due settimane di lockdown abbiamo riscontrato un calo di più della metà dei contatti. Poi le richieste di aiuto sono tornate e abbiamo avuto un picco di accoglienza d’emergenza» racconta Claudia Pividori, operatrice del Centro Veneto Progetti Donna. E rispetto all’esperienza del centro con le donne straniere spiega: «Noi lavoriamo da sempre anche con donne straniere, che sono circa il 25% delle donne che si rivolge al centro. La percentuale è in crescita da quattro anni: nel 2016 le straniere che ci hanno contattate erano 185, nel 2019 sono diventate 300».

La necessità di un approccio multiculturale

In Italia le donne straniere sono esposte a un maggior rischio di emarginazione sociale che le ostacola nei tentativi di uscita dalla violenza: «La prima difficoltà è la barriera linguistica» spiega Pividori «se la donna vittima è in Italia da poco, è più difficile per lei sapere anche solo che il centro antiviolenza esiste. Così come i colloqui e tutta la parte d’ascolto ne risentono».

«Inoltre c’è la barriera legale», aggiunge l’operatrice del Centro Veneto Progetti Donna. «Almeno per le donne che non hanno il permesso di soggiorno (che sono una minoranza) o il cui permesso è valido per ricongiungimento famigliare, quindi legato a quello del compagno».

L’ultima barriera è la mancanza di comprensione dei servizi di uscita dalla violenza. C’è spesso diffidenza da parte delle donne straniere nei confronti dei servizi pubblici, per esempio dei servizi sociali, delle forze dell’ordine e anche del centro antiviolenza stesso

Per quanto riguarda invece le difficoltà che vive il centro nel relazionarsi con donne di altre culture, Pividori racconta: «Noi operatrici siamo sì professioniste ma siamo anche consapevoli di essere imbevute di costrutti del nostro contesto culturale e per questo in passato abbiamo avuto difficoltà a decodificare i bisogni di una donna straniera. È importante lavorare con la mediazione linguistica per capire la cultura e le alternative accettabili per ogni donna. Ci sono donne che hanno fatto un investimento nel loro progetto migratorio, per cui avranno esigenze molto diverse da quelle di una donna italiana».

Un approccio multiculturale

Negli ultimi due anni il centro antiviolenza di Padova ha lavorato a un progetto chiamato Seconde a nessuno, che vede in campo diversi enti, tra cui l’Università di Padova, il Comune di Padova e l’associazione Arising Africans. Il progetto ha previsto attività di formazione, non solo per i centri di violenza ma anche per le forze dell’ordine e per le mediatrici culturali che sono state messe nelle condizioni di avere un approccio giusto nei confronti delle vittime, con l’identificazione di linee guida per l’emersione e la presa in carico di donne sopravvissute oppure coinvolte in situazioni di violenza di genere nella protezione internazionale.

Il progetto Seconde a nessuno si è dato come obiettivo fondamentale quello di far conoscere i servizi del centro antiviolenza alle donne delle comunità straniere di Padova, raggiunte anche con il volantinaggio nei luoghi maggiormente frequentati o abitati da donne straniere. In questo senso, si è rivelato utile il supporto dell’associazione Arising Africans che ha permesso di presentarsi alle comunità in maniera non invasiva, grazie alla presenza e accompagnamento di rappresentanti delle comunità stesse nell’ambito di incontri privati a cui hanno partecipato diverse donne straniere di Padova.

Il progetto ha realizzato diversi corsi di formazione per donne straniere e operatrici italiane. O anche eventi per far incontrare afrodiscendenti e donne italiane, dando spazio a dibattiti sull’afrofemminismo e sull’esperienza di vita delle donne nere cresciute in Italia  

«Per imparare a pedalare non basta avere il coraggio di farlo… serve una buona bicicletta e qualcuno che ti insegni ad usarla e che ti aiuti quando stai per cadere» conclude la sua testimonianza, Lizzie. «Io ho avuto la fortuna di trovare tutto questo grazie all’aiuto del Centro e spero che le donne che stanno vivendo e sopportando la violenza quotidiana possano trovare le risposte e l’aiuto di cui hanno bisogno».