Va bene le periferie. Si è detto tutto di questi luoghi delle nostre città dove si concentrano molti dei problemi della nostra società. Ma nelle periferie, negli ultimi anni, sono arrivati a vivere coloro che più ci fanno paura. Sono i nemici. Alla fine tutti gli altri. È un ritorno primordiale quello che scandaglia Enrico Pandiani in questo noir, Lontano da casa, pubblicato da Salani Editore. Il morto è uno straniero. La donna che aveva avuto una relazione con lui tanti anni prima è anche lei straniera anche se viene da un’altra parte del mondo, insegnante di italiano in una scuola per stranieri. E degli stranieri, della tolleranza ben oltre il limite del razzismo, ha un’idea molto particolare anche la commissaria che indaga su questo caso che vuole risolvere a ogni costo. Un triangolo perfetto collocato quasi a forza nelle periferie dove vivono le più buie paure di tutti noi. Il romanzo è ambientato a Torino, raccontata con dettagli assai minuziosi, puntiglioso anche nel ricostruire le fermate del tram, ma potrebbe essere ovunque. Una periferia come tante, avvolta di odori, di colori e di quell’umanità che scansiamo perché la consideriamo nostra nemica, senzatetto, immigrati clandestini, anziani soli e abbandonati o stranieri che sfuggono da paesi in guerra o situazioni politiche instabili. Fabio Poletti
Enrico Pandiani
Lontano da casa
2021 Salani Editore
pagine 400 euro 16,80
Per gentile concessione dell’autore Enrico Pandiani e dell’editore Salani pubblichiamo un estratto dal libro Lontano da casa.
A Jasmina non piaceva girare per quelle vie male illuminate, dove tutto pareva vago e in qualche modo minaccioso, anche se nei tre anni passati lavorando alla casa di riposo, in realtà, non aveva avuto grandi fastidi e poco alla volta si era abituata a quelle lunghe passeggiate notturne per tornare a casa.
Scese dal pullman e si appoggiò alla ringhiera scrostata della pensilina in attesa che passasse il 4. Pensò alla signora Artale che aveva lasciato nel suo letto e che quel pomeriggio aveva trovato più stanca del solito. Nella gioventù dei trent’anni, una situazione del genere – la vecchiaia, la solitudine, l’abbandono – Jasmina non riusciva nemmeno a concepirla, anche se un giorno dopo l’altro entrava in contatto con ogni genere di difficoltà.
Il vivere stesso provocava sofferenza, era sufficiente guardarsi intorno per capirlo. Se non si è insensibili, non si può evitare di prendere sulle proprie spalle almeno una parte della fatica degli altri, e lei lo faceva con leggerezza, senza lamentarsi.
Per definire il tempo meteorologico di quella giornata di fine novembre, la radio aveva continuato a utilizzare la parola variabile, con tutte le implicazioni che il termine portava con sé. In effetti le persone che aveva incontrato, sempre le stesse, si erano comportate in maniera che Jasmina avrebbe definito elettrica, come se tutti quanti fossero in attesa di un evento sorprendente che fino a quel momento non si era verificato.
Si guardò attorno. Una coppia di cinesi era seduta sotto la tettoia della fermata. Avevano accanto un passeggino dal quale spuntava il viso paffuto di un neonato ad- dormentato. Erano giovani, ben vestiti e parlottavano fra loro. Poco distante, un vecchio arabo fumava guardando senza curiosità le auto di passaggio. Sotto al cappotto grigio sporgevano le falde di un caftano.
Jasmina diede un’occhiata all’orologio. Mancava un quarto d’ora a mezzanotte. Strinse bene la sciarpa attorno al collo e si sistemò più comoda contro il mancorrente.
Due ragazze nere, musulmane, attraversarono la strada con il rosso e salirono ridendo sulla banchina. Portavano pesanti abiti neri, lunghi fino ai piedi, e indossavano entrambe l’hijab. Jasmina fissò incuriosita i complicati tatuaggi all’henné che dal dorso delle mani salivano lungo le dita. Non comprendeva bene la loro lingua, ma capì che stavano parlando di un ragazzo.
Nei tre quarti d’ora che il tram impiegò ad arrivare, la banchina si popolò di vari personaggi che salirono a bordo con lei. Passò l’abbonamento sul lettore e andò a sedersi accanto a due uomini rumeni o albanesi che stavano chiacchierando appoggiati allo snodo in gomma della cabina. Ripartirono con rumore di ferraglia. Riflettendosi sui vetri, la luce fredda delle lampade nascondeva la città fuori dai finestrini, rendendola distante e impalpabile. Jasmina chiuse gli occhi, cullata dal brusio che aveva attorno, lingue differenti che si mescolavano creando una strana cantilena.
Alla fermata successiva salì un giovane nero che stava parlando al telefono e portava a tracolla una borsa da lavoro. Si mise in un canto e nel suo linguaggio gutturale continuò a voce alta la telefonata attraverso le cuffie del cellulare, incurante delle persone che gli stavano attorno. L’ennesimo dialetto di quella Babele nella quale Jasmina viveva da anni. Lei stessa arrivava da lontano, ma era successo così tanto tempo prima che quasi non si rendeva più conto di essere una di loro.
Osservò gli altri passeggeri chiedendosi da dove venissero, se qualcuno li stesse aspettando e se avessero una casa. Ora non lo faceva più, ma finché c’era stato suo padre si era coperta il capo, anche se la madre aveva più volte cercato di intercedere, senza successo. I ricordi di scuola, dove solo lei e un’altra compagna erano costrette a indossare il velo, non erano piacevoli. Entrambe erano state derise dai vari bulli del quartiere che non aspettavano altro che l’uscita dalla classe per strappare loro l’hijab dalla testa, un gesto che trovavano divertente.
Il tram stava arrivando alla fermata successiva e un gruppo di arabi – madri, padri, figli e due carrozzine – si prepararono a scendere. Gli uomini si misero a spintonare gli altri passeggeri, parlando forte per farsi largo. All’apertura delle porte ci fu un passaggio di mercanzie e bambini tra quelli che erano scesi e gli altri ancora a bordo. Così, quando l’autista ripartì, una carrozzina e una donna erano rimasti sul tram. Tutti quanti si misero a gridare e a battere le mani sui vetri, tanto che l’immenso mezzo si arrestò subito con un sussulto e le porte si spalancarono di nuovo. La donna spinse fuori la carrozzina e raggiunse il resto dei famigliari tra le risate e gli applausi degli spettatori di quel piccolo dramma.
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