La terza volta che firmano assieme la pace: Salva Kiir e Riek Machar (rispettivamente presidente e vicepresidente), i due leader del Sud Sudan sperano di essere a quella buona. La prima volta fu nel 2011 al momento dell’indipendenza del paese, il più giovane d’Africa e del mondo. La seconda nel 2016, dopo anni di guerra civile, ma la pace durò solo tre mesi. L’ultima a fine febbraio a Juba, la povera capitale di un poverissimo Stato. Il conflitto tra fratelli si spiega in due modi: la ricchezza maledetta del petrolio che non si riesce a condividere; la differenza etnica che rende tutto molto complicato.

Tra le guerre dimenticate quella del Sud Sudan è forse – con lo Yemen – la più micidiale: 400 mila vittime dal 2013, oltre 2,2 milioni di profughi e 1,4 di sfollati interni. Si tratta di popolazioni rurali, composte da agricoltori e pastori, oggi in miseria nera.

Il fatto che se ne parli poco è dovuto anche alla stanchezza della comunità internazionale, dopo tanti accordi senza risultato. Sembra un conflitto endemico che però risulta scandaloso se si pensa al fatto che l’Occidente sostenne fortemente la nascita del nuovo Stato, USA in testa. Neanche tre anni di pace e poi subito sospetti, scontri, divisioni, fino al mostro dell’odio etnico e della conseguente pulizia.

I due protagonisti si conoscono benissimo: hanno combattuto 30 anni assieme contro i nord-sudanesi musulmani prima di ottenere l’indipendenza. Come gli altri leader delle numerose fazioni, sono quasi tutti cristiani (salvo un po’ di animisti): cattolici, presbiteriani e anglicani. Il loro reciproco massacrarsi fa scandalo nelle loro chiese e rappresenta una vergogna verso gli antichi padroni che ora fungono anche da mediatori. Non è un caso che Papa Francesco abbia fatto quel gesto sconvolgente a Roma: baciare i piedi dei leader in guerra fra loro. «Litigate a porte chiuse», ha detto loro, e «cercate ciò che unisce non quello che divide».

Sant’Egidio è intervenuta per completare l’opera: oltre ai due vecchi leader riuscire a portare dentro l’accordo anche gli altri, scissionisti, insorti e dissidenti dalle due fazioni maggiori. Perché, si sa, la guerra frammenta e rende tutto caotico. La scommessa è riuscita: c’è un accordo fra i due con un nuovo governo unitario, esiste ora anche un percorso per chi non aveva firmato.

Tutto di sta ricomponendo ma si tratta di un lavoro lento e delicato. Ora tra i firmatari dell’accordo si sta formando un nuovo governo. Ci vuole pazienza e costanza. La comunità internazionale è sorpresa: dopo tanta rassegnazione c’è ancora speranza per il Sud Sudan. L’Unione Africana, l’ONU e gli USA si sono congratulati con tutti i mediatori, dalla regionale del Corno D’Africa (IGAD), all’Etiopia a Sant’Egidio. Khartoum, l’ex nemico del nord, pare collaborare con buona volontà: anche lì infatti è in corso un processo interno di democratizzazione. Il momento è certamente quello giusto per provarci.

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