Anna Lattanzi è una critica letteraria e caporedattrice di Albania Letteraria: l’unica rivista culturale dedicata alla letteratura albanese in Italia. Curatrice della Rassegna Incontri letterari presso il Centro Culturale Slow Mill, è direttrice artistica della prima edizione del Festival FjalaFest che si svolgerà il prossimo 18 e 19 maggio 2024 a Milano e di cui NRW è media partner. Questo è il secondo di una serie di articoli: l’intervista allo scrittore pluripremiato Tom Kuka (pseudonimo con cui firma i libri Enkel Demi), è stato uno dei vincitori del Premio europeo per la Letteratura 2021.
Uno dei due romanzi tradotti e pubblicati in Italia è Flama in cui si ritrova tanto delle peculiarità che caratterizzano i suoi libri: una su tutti, l’Albania che non c’è più. Perché la scelta di un tempo remoto?
«Flama è un thriller ambientato nella Tirana di cento anni fa. La città attraversa un momento altamente drammatico: un’invasione di topi disturba la quiete degli abitanti e uno strano male imperversa tra le case, causando morti inspiegabili. In una di queste terribili giornate viene ritrovato il cadavere di una donna, affetta da nanismo: si tratta una veggente che pratica la caffeomanzia. A occuparsi delle indagini è l’ispettore Di Hima che non comprende chi, in una situazione tragica come quella, decide di ammazzare una donna. Intorno a questo episodio si snodano tutte le vicende. In Flama si ritrova la mia passione per le storie tramandate oralmente. Mi piace contestualizzare la narrazione nei tempi dell’Albania passata, quelli che non ci sono più a immagine speculare di quella moderna, proiettata in avanti, con quel filo indelebile che la lega al passato».
Ne L’Ora del male, il mito è protagonista. Cosa rappresenta esattamente?
«L’Ora è un’antica figura della mitologia albanese che si compone di due parti totalmente distinte, una bella e un’altra brutta. Essa non ha intenzioni benigne, tanto è vero che si rivela dannosa per il protagonista. L’Ora del male è un romanzo d’amore. Spesso mi chiedono perché questa affermazione: in fondo parla della vendetta, uno degli elementi fondamentali dell’antico codice consuetudinario albanese, di uccelli di malaugurio, di premonizioni e occulto. Tutto vero, ma il filo conduttore è l’amore, quello concreto, che si ritrova in svariate forme e non solo come lo intendiamo comunemente. Anche l’animo umano è protagonista, insieme a una comunità che emette sentenze. Fa parte della nostra storia».
Una storia complicata che spesso viene riportata nei libri, in svariate forme
«Una storia complicata, come tutte. Non vi è Paese che non abbia una storia con elementi di particolare rilevanza che la rendono unica. Nel caso dell’Albania, 45 anni di chiusura a causa del regime totalitario considerato il più sanguinario dei Balcani hanno segnato quell’epoca e le successive con la confusione che si è creata. Diversi testi della nostra letteratura raccontano quel periodo anche se in Albania la memoria è labile e laddove non vi è memoria si commettono sempre gli stessi errori poiché si tende a non imparare da quelli passati e dagli episodi che hanno segnato gli eventi storici».
Qual è il suo rapporto di scrittore con l’Italia?
«Sono stato accolto in un modo straordinario, partecipando a manifestazioni importanti come Il Salone del Libro di Torino, Book City a Milano, ho ricevuto l’attenzione dei media e soprattutto quella di un pubblico di lettori molto attenti. Ho avuto la possibilità di parlare dei miei libri e di conoscere da vicino l’Italia, guardandola da uomo e da autore».
Lei sarà uno degli ospiti di FjalaFest, prima edizione del Festival dedicato alla letteratura albanese: cosa si aspetta da questa iniziativa?
«Credo che sia un’ottima opportunità per aprire una finestra sulla nostra letteratura, probabilmente considerata minore o settoriale e ancora vittima di stereotipi. Desidero ringraziare gli organizzatori per aver pensato di offrire una bella occasione alla cultura letteraria albanese, ai suoi autori, agli studiosi, al mondo che la caratterizza. I confronti e le discussioni serviranno per offrire un’approfondita visione della nostra cultura e dell’anima dell’Albania, tutt’ora poco conosciuta nonostante il boom turistico stia portando tanti italiani nel nostro Paese. Ritengo che il libro sia un ottimo strumento di informazione, mediazione e inclusione che convive con altre forme di comunicazione. Nell’era digitale, promuovere la letteratura e la lettura, dare spazio alla viva voce di chi anima l’universo della scrittura, rappresenta un progetto di notevole valore. Se poi il focus è la letteratura albanese, la sfida è ancora più importante».