C’è chi resta a casa, ad aspettare di poter riabbracciare il mondo. E non vede cosa succede oltre il proprio orizzonte popolato da paure e incertezze. E chi invece è stato spinto fuori sulle strade svuotate a vivere un’altra reclusione, quella della solitudine.

A Torino, sospesi in un limbo, ci sono circa duemila senza dimora. Italiani, ma soprattutto stranieri. Giovani, ma soprattutto di origine africana. E fra loro alcune badanti che vivono in Italia da venti, trent’anni, lavoravano in nero e ora sono senza un tetto. Costretti a vivere allo sbando.

I più fortunati, circa 700, hanno trovato un rifugio nei dormitori del Comune, oppure ospiti della Caritas. Gli altri sono rimasti in balia del niente che li circonda. E aspettano con ansia i volontari della comunità di Sant’Egidio che tre volte alla settimana portano loro cibo, mascherine e gel igienizzanti per proteggersi dal Covid-19: «Abbiamo fatto ripetuti appelli al Comune, invano. Sono impauriti e affamati. Non sanno dove andare, come farsi una doccia o trovare bagno. Hanno visto le strade svuotarsi e la rete informale di bar, stazioni, centri diurni sparire», spiega Daniela Sironi a NRW.

Lei è la referente della comunità di Sant’Egidio del Piemonte. Con i volontari, aumentati perché nella quarantena è cresciuto il numero di giovani e adulti che si danno da fare per aiutare i senza tetto, va a dare conforto, un pasto caldo, un segno di speranza e un aiuto concreto a chi improvvisamente è rimasto solo nel centro del capoluogo piemontese. «La maggior parte sono migranti, ex minori non accompagnati rimasti ai margini della società, persi fra alcolismo e tossicodipendenza. Ma non ci sono solo loro. Ora, fra i senza dimora a cui nessuno dedica più un pensiero, ci sono badanti che assistevano anziani e non hanno più un lavoro. Giovani rimasti fuori dalla rete dell’accoglienza, o che hanno perso i lavori alla giornata. O ancora: stranieri che stavano facendo dei tirocini nei ristoranti o in aziende che si sono interrotti», racconta Daniela Sironi.

Come un ragazzo pachistano di 19 anni arrivato un anno fa a Torino dalla Sicilia che stava finendo il suo percorso di alfabetizzazione e ora si trova per strada, senza capire cosa stia succedendo, senza poter sapere cosa sia questo grande terrore che ha chiuso confini e le porte delle case. Il vecchio continente avrebbe dovuto essere il luogo dove ricominciare una nuova vita, ma è arrivato nel momento sbagliato e si è ritrovato in un limbo. «Quando ci vedono arrivare, per strada, con le macchine piene di carrelli spesa, ci corrono incontro, affamati, spaventati, allegri. Non abbiamo un rifugio da offrirgli, ma pietanze cucinate da cuochi di ristoranti anche noti, come Tre Galline, che si sono messi a disposizione. E siccome nessuno pensa a loro, nel mezzo della pandemia, cerchiamo di trovare famiglie che li ospitino».

Sì, perché nel silenzio assordante delle città e degli appelli inascoltati alle istituzioni, è successo qualcosa. Molte porte si sono socchiuse: giovani studenti e adulti che hanno sospeso le loro attività lavorative hanno lasciato i loro divani per mettersi a disposizione di quelli che non possono restare a casa, perché una casa non ce l’hanno.

Ecco perché abbiamo deciso di sostenere la campagna della comunità di Sant’Egidio. Davanti al mondo chiuso, a realtà urbane confinate nel perimetro di balconi, cortili, o giardini, qualcuno si è attrezzato per spezzare il silenzio, per creare il rumore della solidarietà. Forse solo per non passare il tempo ad ascoltare le proprie paure perché occuparsi di chi è stato privato di tutto aiuta a dare un senso a questo tempo sospeso e perduto.

Ognuno fa quello che può o sente sia giusto fare per sé o per gli altri, guai a giudicare. Noi pensiamo però sia giusto sostenere chi si occupa delle vittime collaterali della pandemia e della quarantena. A questo link trovate come fare per dare una mano, una donazione, un aiuto concreto per uscire dalla finestra con una valida motivazione.