In vista delle elezioni europee del maggio 2019, i giovani afroeuropei si stanno organizzando. Nel 2014, solo il 28% dei giovani dai diciotto ai trent’anni è andato alle urne. «Tra questi, gli afroeuropei sono stati un ancor più esigua minoranza e molti di quelli che hanno votato hanno fatto scheda bianca» sostiene Karen Kaneza, una delle organizzatrici del Diaspora Vote, un’iniziativa nata per mobilitare i giovani elettori afroeuropei in Europa. L’iniziativa è stata promossa dall’African Diaspora Youth Forum in Europe ed appoggiata da vari organismi come l’Ufficio di rappresentanza del Parlamento europeo in Belgio, l‘Africa Europe Diaspora Development Platform, l’Intergruppo del Parlamento europeo contro il razzismo ed a favore delle diversità (ARDI), la Senegauloise e la rete di giovani professionisti dei Paesi dell’Africa, i Caraibi e il Pacifico (ACP DYSS). «È indispensabile agire in fretta per ribaltare la tendenza al disimpegno politico dei giovani della diaspora africana. Non andare a votare è un’occasione persa per far sentire la nostra voce» ha continuato Karen Kaneza, che si è candidata alle recenti elezioni amministrative nel suo quartiere di Bruxelles.
I ragazzi della diaspora africana tra la vita in Europa e le radici in Africa
C’era molta eccitazione tra i ragazzi del Diaspora Vote in visita al Parlamento europeo di Bruxelles. Alcuni di loro non avevano mai visitato Bruxelles e quasi nessuno era mai stato al Parlamento. Il programma prevedeva una serie di incontri con politici, funzionari delle istituzioni europee, delle Nazioni Unite e un corso di formazione sull’Unione Europea e le elezioni europee. Erano visibilmente orgogliosi di essere lì e di poter raccontare le loro storie, chi con più scioltezza e altri più timidamente, quasi a voler giustificare il fatto di essere stati scelti.
Sono cresciuti in diverse città, nelle periferie e nelle campagne in Belgio e in Francia. Alcuni, come Harouna Ba, francese di origine mauritana, sono arrivati da bambini con i loro genitori o da soli, mentre altri sono di seconda o terza generazione, come ad esempio Tiffany Fevery, di madre algerina e padre europeo. Molti non parlano più la lingua dei loro genitori, anche se le loro radici fanno ancora parte della loro identità. «In quanto magrebina, non mi sentivo parte della Diaspora africana» ha detto Tiffany. «Dopo gli attentati del 2016 a Bruxelles, ci siamo sentiti colpevolizzati, discriminati, persino braccati. Così, tanti di noi hanno tentato di dimenticare, o più semplicemente nascondere le nostre radici, volendosi integrare una volta per tutte. Mia sorella è così mentre io ho reagito nella maniera opposta, tentando di riappropriarmi della mia identità di donna africana».
Certi, come Dalale Belhout, dinamica imprenditrice franco-algerina trentenne di Trappe, sono di umili origini ma sono riusciti a riscattarsi. Lei aiuta i giovani, africani e non, a trovare lavoro e ha fondato un’associazione per aiutare i ragazzi negli studi e a trovare la loro strada dopo la scuola. Altri, come Balkissou Abdoul-Karim, studentessa ventenne di Anversa figlia di commercianti di diamanti, o Bienvenu Lwangi, studente belga di Scienze politiche che sogna di diventare un giorno ambasciatore del Congo, sono invece di più alta estrazione ed hanno avuto la fortuna di viaggiare in diversi Paesi europei ed africani.
Nonostante le loro differenze, tutti concordano che l’integrazione, soprattutto nel mondo del lavoro, sia la chiave per riuscire ad emergere. Secondo Dalale Behout «Uno studio francese dimostra che, se ti chiami Mohammed, devi mandare almeno dieci curriculum in più per ottenere un colloquio di lavoro». Il problema non è nelle scuole, dove sia in Belgio sia in Francia la diversità è ormai una realtà, ma dopo il diploma. Sarah Zongo, francese originaria della Costa d’Avorio, è cresciuta non lontano dall’Italia, in un paese tra Grenoble e Lione, e ora studia a Parigi. Secondo lei la diversità dopo la scuola è solo un miraggio poiché la discriminazione inizia già all’università, nelle Grandes Écoles parigine per esempio, dove si forma la classe dirigente francese ma dove gli afroeuropei faticano ancora ad entrare.
Mobilitare gli elettori della diaspora africana per avere una voce in Europa
Andrea Kalubi è una giovane attivista belga della Diaspora congolese. Candidata alle elezioni nella sua città di La Louviére nel 2012, ha imparato che i giovani, soprattutto quelli di origine africana, non votano perché non pensano che le cose cambieranno. «C’è davvero tanta diffidenza verso i politici che appaiono troppo distanti da noi e dalle nostre realtà. Nessuno dei miei amici sa molto delle istituzioni europee o capisce l’impatto che le politiche europee hanno nel loro quotidiano» ha detto Andrea Kalubi.
Durante la visita al Parlamento europeo i ragazzi hanno scoperto che ben l’85% delle leggi nazionali in Francia e Belgio sono promulgate in seguito a direttive europee. Secondo Dalale Belhout perciò: «Votare per avere un impatto sull’Europa è indispensabile. Basta lamentarsi. Bisogna cominciare ad informarsi, coordinarsi ed agire». Ed è proprio questo l’obiettivo dell’iniziativa Diaspora Vote: sensibilizzare gli afroeuropei per risvegliare il loro impegno sociale e politico. Ma per questo è essenziale un confronto tra generazioni. Bisogna intavolare un dialogo tra chi è arrivato in Europa da bambino, si è integrato a fatica e conserva magari ancora un accento da “straniero”, e chi invece è nato qui e si domanda se faccia ancora parte della diaspora e possa farsene portavoce.
L’obiettivo di Diaspora Vote è ambizioso (e per ora impensabile in Italia): obbligare i politici a capire cosa significhi essere afroeuropeo oggi. L’eurodeputata socialista belga Maria Arena, ex ministro dell’Integrazione, l’impiego e le e pari opportunità in Belgio, ha fatto da madrina ai ragazzi del Diaspora Vote a Bruxelles. Il suo messaggio ai ragazzi è stato chiaro: «La diversità va accettata in tutte le sue forme; è la nostra ricchezza e va difesa. Il comunitarismo invece mette gli uni contro gli altri. L’immigrazione in Europa merita più attenzione. Non in quanto “problema”, ma per gestirne meglio i flussi, migliorare l’accoglienza e potenziare l’integrazione. Non si può chiedere ai Paesi africani di chiudere le proprie frontiere quando questi invece in Europa si stanno integrando sempre più, creando zone di libero scambio e libera circolazione sul modello dell’Unione europea. È anacronistico e controproducente». Maria Arena li ha però esortati a votare solo chi pensano che possa davvero rappresentarli, chi possa agire per cambiare qualcosa, non chi si accomodi in poltrona e non faccia più nulla per cinque anni.
«È stato un gran successo» ha concluso Karen Kaneza alla fine dei due giorni di formazione a Bruxelles. «Abbiamo posto le basi e ora contiamo che i ragazzi tornino a casa loro e facciano passare il messaggio sfruttando le loro reti sociali e professionali. Speriamo anche che alcuni di loro si vogliano candidare un giorno perché sono (o meglio potrebbero) essere i leader di domani.