È intrisa di giallo, di disperazione e di omertà la storia di Kevin John morto a soli 33 anni a Cremona nel 2019. Arrivato in terra di Lombardia per cercare una vita diversa dal suo paese d’origine, ha trovato, prima il buio di una probabile violenza. Poi il disinteresse generale di una città che sembra distratta di fronte a questa vicenda. O forse timorosa che si possa alzare qualche velo che è meglio che rimanga depositato dove è stato lasciato.  La sua tomba è diventata da subito un palco da cui partono, a intervalli regolari, richieste anonime di giustizia per ‘misteriosi’ fatti che lo hanno portato in un’anonima fossa del civico cimitero.

La vicenda

Ricostruire le vicende di John non è operazione né facile, né semplice. Tutto sembra avvolto in mistero da cui è difficile dissipare le ombre e i gli interrogativi che sono di gran lunga più numerosi delle certezze. Da quel poco che si è riusciti a sapere dai messaggi che viaggiano nel variegato e complesso mondo dell’accoglienza dei giovani migranti, la sua storia sarebbe simile a quella dei tanti ragazzi che arrivano negli hub d’accoglienza del nord. Sembra infatti che, attorno al 2010, Kevin sia stato ospite nel principale centro riservato al primo aiuto a Cremona, per coloro che giungono, anche in maniera rocambolesca, nella più popolosa regione italiana.

Dopo un primo periodo di adattamento, il giovane si sarebbe integrato talmente bene che gli è stato proposto di lavorare direttamente con i volontari locali. Gli stessi che si occupano delle esigenze di altri nelle sue stesse condizioni di profughi o di migranti economici. Un’occupazione che gli avrebbe permesso di avere un piccolo reddito per garantirsi un posto letto al di fuori della struttura di accoglienza. Un’attività che, secondo alcune fonti delle forze di polizia locali, si sarebbe svolta senza alcuna ombra. Nessuna segnalazione di frequentazioni malavitose o di detenzione di sostanze stupefacenti. Una permanenza che sembrava così essere esemplare o, quanto meno, simile a quella di tante altre persone che cercano di costruirsi un futuro meno doloroso in questo nostro Paese. 

Il dramma

Poi improvvisamente il dramma. Il 2 luglio del 2019 John Kevin muore. Verrà sepolto nel civico cimitero solo il giorno 17 di quello stesso mese di luglio. E sull’evento mortale è difficilissimo far luce. Non c’è alcuna certezza. Prima si parla di un gesto autolesionistico, poi di cause naturali.

Sta di fatto che la distanza tra la data del decesso e quella della sepoltura semina più di un dubbio. Sono esattamente quindici giorni: il tempo è utilizzato comunemente per compiere ulteriori esami patologici sul cadavere e le relative autorizzazioni dell’autorità giudiziaria per la sepoltura

I misteri e i dubbi sono solo all’inizio. In quei giorni, tra fine giugno e inizio luglio muore un altro ragazzo ghanese, impiccandosi in circostanze misteriose dentro la stessa struttura che aveva ospitato Kevin. Un suo compagno che vuole restare anonimo spiega a NRW che anche questo secondo ragazzo non aveva particolari problemi né con la giustizia, né, tanto meno, con compagnie pericolose. Era arrivato a Cremona solo un paio di mesi direttamente da Napoli dove aveva vissuto in un’altra struttura d’accoglienza. Dejavu: le due vicende si sovrappongono a tal punto che rischiano di diventare una sola. In molti pensano che quello sepolto in quella fossa del cimitero sia lo stesso che si è tolto la vita nel centro. Una certa somiglianza fisica induce a unire i casi ma non è così. La nostra fonte ribadisce che sono sicuramente due persone diverse: i nomi poi non coincidono. Un dettaglio, questo dei nomi, di assoluta delicatezza visto che i ghanesi sono abituati a scambiarsi le proprie identità quando arrivano nel nostro paese. E spesso succede più di una volta.  

Il mistero

Sempre tra la fine di luglio e l’inizio di agosto di quel 2019, il tam tam del mondo del volontariato fa sapere che quel giovane non sarebbe deceduto per cause naturali. Causa del decesso sarebbe stato un atto violento o forse un’omissione. Le indiscrezioni ci vengono fornite con il contagocce e si percepisce che il caso è complicato quanto delicato. Nessuno vuole esporsi per timore di ritorsioni o vendette.

Venti giorni dopo sulla tomba di John compaiono una pistola, con relativi pallini, e un mattarello. Sono alcuni cittadini in visita ai loro defunti che fanno la scoperta e che avvisano immediatamente la polizia municipale del comune di Cremona che svolge compiti di sorveglianza. Partono le indagini. Il 25 agosto il giornale locale ‘Provincia di Cremona’ scrive un breve articolo in cui si dà conto dell’inchiesta. Secondo i vigili urbani la pistola sarebbe poco più di un giocattolo: poco più di una scacciacani e l’avrebbe deposta sulla tomba un ‘fantomatico’ parente del giovane. Sentito dagli agenti, il congiunto di John avrebbe spiegato che quella finta arma sarebbe stato un gioco particolarmente amato dal defunto e che quindi trovava giusto deporlo sul suo ultimo giaciglio.

Una spiegazione che resta, nel comune sentire, sicuramente improbabile. Come è possibile che un parente abbia percorso migliaia di chilometri solo per portare un ricordo di infanzia?

Io voglio giustizia

Il silenzio si rompe ancora qualche giorno prima del Natale 2020. Sulla croce della tomba di Kevin appare qualcosa di strano. È un cartello. Nella parte superiore ci sono tre ritratti del deceduto. Nella parte inferiore una fotografia drammatica. Il presunto corpo senza vita di John adagiato su una barella del pronto soccorso. Sotto una scritta a lettere cubitali: “Io voglio giustizia”.  Il gesto è plateale e finisce con tanto di fotografie su Facebook. Chi ha appeso quell’immagine proprio sulla croce della tomba? Chi ha scattato quell’immagine al cadavere sulla barella già in rigor mortis?  Chi l’ha conservata nella convinzione di avere una testimonianza su quanto accaduto? Perché mesi dopo ha deciso di compiere un ulteriore atto così forte e pubblico per chiedere giustizia? Questa richiesta svela il fatto che alcuni sanno la verità, ma che la tacciono agli inquirenti. Perché? Chi coprono? Qual è la vera ragione della morte del ragazzo? 

Prima di chiudere il collegamento telefonico con NRW, la fonte ghanese, pur non volendo entrare nei dettagli della vicenda di John di cui dice di non sapere nulla, ammette che gli avvertimenti apparsi sulla tomba, sarebbero segnali per mettere in luce situazioni drammatiche. Quali? Non lo spiega. Poi si chiude nel silenzio. E alla fine resta solo il mistero di un altro migrante morto apparentemente senza ragione.