Classe 1987, nato in Germania e cresciuto in Congo, Emma M’bayo Mertens vive a Trento, dove lavora come export manager per un’azienda di guarnizioni. Emma M’bayo Mertens è anche un’attivista che in passato ha sofferto molto il mito della superiorità occidentale. Oggi si batte per il diritto alla cittadinanza italiana e per una più rispettosa considerazione dell’Africa e degli africani.
Lo stereotipo del rapper
Mertens cresce a Lubumbashi, città nel sud est del Congo dove giganteggia la finta collina di Gecamines, formata dai residui dell’estrazione del rame.
«Parlo diverse lingue, tra cui lo swahili, lingua predominante nella regione del Congo dove sono cresciuto, ma che era proibito usare a scuola. Sono cresciuto circondato da un forte pensiero coloniale che considera negativi tutti i tratti culturali autoctoni e cerca da sempre di sopprimerli, in un modo o in un altro». Il giovane manager proviene da una famiglia agiata: il padre è un imprenditore ed è stato un deputato durante il governo di Kabila, la madre è fisioterapista e i suoi fratelli e sorelle lavorano e studiano in diverse parti del mondo, dal Canada al Sudafrica. Racconta come nella sua città vivessero molti giovani occidentali: «Io sono cresciuto con accanto i ragazzi europei che esaltavano lo stereotipo del rapper afroamericano. Ho vissuto un paradosso culturale: da una parte provengo da questa famiglia multietnica che accetta la diversità con un’identità culturale arcobaleno» spiega «dall’altra la mia identità veniva rifiutata, per essere accettato dovevo essere più gangster possibile».
Era meglio essere un rapper americano che un giovane intellettuale congolese
Orgoglio africano
A partire dai 16 anni, comincia a viaggiare: «Di solito si associa l’attaccamento alle proprie tradizioni al sottosviluppo. Ti scontri con il concetto di progresso che implicitamente considera validi solo i costumi occidentali» dice, accalorandosi. «La rivelazione che ho avuto, anzi, lo shock che ho avuto in Namibia è stato grande: vedevo le persone che festeggiavano orgogliosamente con balli e costumi tradizionali. Vedere come accoglievano la loro cultura per me è stata una rivoluzione». Così comincia la sua personale riscoperta di sé, attraverso la riscoperta dell’Africa.
Mette da parte la musica occidentale e la sostituisce con l’afrobeat, studia la storia coloniale dell’Africa e scopre artisti come Esther Mahlangu. Smette di vergognarsi delle sue origini e ritrova la volontà di valorizzarsi in quanto giovane congolese
Spazi mancanti, spazi creati
Emma M’bayo Mertens sceglie l’Italia perché è più semplice ottenere un visto per motivi di studio e presto si accorge che il conflitto occidente-Africa si ripresenta anche qui.
Il primo anno all’università di Padova lo passa a studiare l’italiano, esce poco perché non sopporta la divisione italiani-congolesi nelle mense, nelle aule e nelle biblioteche: «Quando tu sei africano in Italia quello che la gente vede è il problema. Dopo un po’ tu, studente africano, sei stanco di dover ogni volta dimostrare di essere all’altezza e soprattutto di vedere disconosciuta la tua cultura. Molti non ci stanno e preferiscono isolarsi».
Questa separazione autoimposta gli va stretta. Per questa ragione, decide quindi di creare degli spazi giovanili interculturali, dove italiani e stranieri hanno la possibilità di confrontarsi e riflettere insieme sulla multiculturalità. Usa i social per diffondere messaggi contro gli stereotipi sugli africani, inizia a fare volontariato, viene invitato ad eventi e partecipa a trasmissioni televisive locali per discutere il tema della cittadinanza ai nuovi italiani.
Un’identità orfana
Quando inizia il tirocinio per diventare commercialista, inizia a lavorare per uno studio di Padova: «Una bellissima esperienza» spiega «ma anche lì i clienti rimanevano sorpresi di me, sia in senso negativo, infastiditi dalla presenza di un uomo nero in quel ruolo, sia in senso positivo, gioendo per l’integrazione».
In un modo o nell’altro ero una sorpresa, non una persona. Sembrava di essere dentro alcuni versi della canzone “The Story of O.J.” Jay-Z, ‘Nero ricco, nero povero, nero di casa, nero dei campi, comunque sei nero’, e da questa visione, in Italia, non ne esci
Non riesce ad iscriversi all’albo dei commercialisti perché per farlo è obbligatoria la cittadinanza italiana. Mentre racconta racconta l’impegno profuso nello studio, riflette su come due lauree – in Economia internazionale prima, e in Management internazionale poi, non gli siano servite a trovare molte opportunità lavorative in Italia, il cui mercato di lavoro fa fatica a intercettare il talento dei giovani. «Per troppi sei italiano solo se hai sangue italiano. Sento un senso di appartenenza, vivo in Italia da 2008, dodici anni! È quasi più di quanto io abbia trascorso in qualsiasi altro Paese. Nonostante questo, non sono riconosciuto. Come fai ad amare una patria che non ti vuole?».