Il cosiddetto decreto sicurezza è stato approvato in Senato, ricorrendo a quel voto di fiducia che veniva giudicato così negativamente quando a governare erano altri.
Perplessità sul testo normativo erano state già espresse in occasione del varo del decreto legge. Nonostante alcune modifiche in sede parlamentare, le perplessità restano. Di certo, l’intervento di moral suasion del Presidente della Repubblica – vale a dire la nota con cui Mattarella ha accompagnato la firma del decreto – ha avuto un peso rilevante. A qualcuno era sembrato superfluo che in quella nota il Quirinale richiamasse «gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato», considerato che una legge ordinaria non può modificare né norme internazionali o trattati né disposizioni costituzionali. Tuttavia, come ribadito di recente anche da Sabino Cassese, quel richiamo è stato utile per mettere in maggiore evidenza la cornice nella quale si collocano le prescrizioni del testo normativo e i criteri in base ai quali verrà valutata la loro conformità alle fonti di rango superiore in occasione di eventuali giudizi di legittimità costituzionale.
Il testo passa ora all’esame della Camera. I cardini del provvedimento restano quelli già indicati in precedenza: in materia di immigrazione, ad esempio, il permesso di soggiorno per motivi umanitari è sostituito da permessi speciali temporanei, per motivi di salute particolarmente gravi o di contingente ed eccezionale stato di calamità nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno; a chi compia atti di particolare valore civile è conferito un permesso di soggiorno speciale, che dura due anni ed è rinnovabile; il trattenimento nei centri per i rimpatri è allungato da tre a sei mesi; esclusivamente i titolari di protezione internazionale e i minori non accompagnati sono ammessi i progetti di integrazione ed inclusione sociale previsti dallo Sprar (Sistema protezione e richiedenti asilo e rifugiati); la cittadinanza italiana può essere revocata per motivi di terrorismo; per i richiedenti asilo che compiono determinati reati, fra cui addirittura il furto in appartamento, è prevista la sospensione dell’esame della domanda di protezione ed è possibile che per essi scatti l’obbligo di lasciare il territorio nazionale.
Dunque, restano i dubbi già manifestati in relazione a norme il cui dettato è rimasto sostanzialmente uguale. Si segnala, in aggiunta, un particolare uso della burocrazia, i cui appesantimenti vengono – per così dire – istituzionalizzati. La si potrebbe definire burocrazia dissuasiva, in quanto volta a creare ostacoli a chi voglia divenire cittadino italiano ad ogni effetto. Infatti, vengono ampliati i termini per l’istruttoria della domanda di concessione della cittadinanza (da due sono portati a quattro anni) e si esclude il silenzio-assenso, oggi previsto, al decorso del termine per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio; inoltre, all’anagrafe vengono concessi ben sei mesi per il rilascio di certificato di stato civile da allegare alla domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana. Il percorso per l’ottenimento di quest’ultima diventa così più lungo e complicato di quanto già non fosse: i paletti burocratici sono cioè resi quasi strumentali alla creazione di intralci agli stranieri regolari, inclusi quelli di seconda generazione che Radici sta valorizzando per far passare un’idea diversa, inclusiva e oggettiva, di immigrazione.
Un’ultima considerazione: ha lasciato molto perplessi una particolare forma di opposizione del Partito Democratico al decreto in discorso, vale a dire magliette e cartelli recanti la scritta: «decreto Salvini, meno sicurezza, più clandestini». L’uso di formule ed espressioni che riecheggiano quelle usate dagli stessi “populisti” non rende un buon servizio alla causa che l’opposizione intende sostenere. Sarebbe stato più utile, invece, spiegare che gli episodi delinquenziali da parte di stranieri sono in buona misura connessi al loro status di immigrati irregolari: rendendo per loro meno agevole porsi nei ranghi della regolarità la situazione attuale di certo non diverrà migliore.
Spiegare con dati, informazioni ed evidenze empiriche è il metodo che ogni settimana viene messo in atto da Radici per mostrare che un diverso approccio all’immigrazione è possibile. Lunga è la strada da fare perché ciò sia compreso anche da chi ci rappresenta nelle istituzioni.