Bertrand Tchana è il primo primario con background camerunense di cardiologia pediatrica in Italia. Nato in Francia per seguire gli studi del padre che voleva fare il medico e invece è diventato ingegnere. Una volta tornato nel suo Paese d’origine, ha deciso di studiare in Italia per diventare medico. NRW lo ha intervistato proprio nei giorni in cui il nostro Paese sembra affacciarsi alla quarta ondata di Covid e nel momento in cui si torna a parlare di medici eroi.
Quello di cui si parla ancora poco, e che noi abbiamo discusso col primario dell’ospedale Ospedale dei bambini Pietro Barilla, a Parma, è il ruolo dei medici e del personale sanitario di origini straniere in Italia. Circa novantamila medici che faticano ad accedere al settore pubblico, condannati ad essere professionisti di serie B a causa di leggi anacronistiche che li discriminano.
Bertrand Tchana ospiterà il nostro secondo workshop dedicato ai medici di origine straniere, all’interno del progetto Diversity leadership, all’università di Parma il 19 novembre.E sarà lui ad animare la riflessione sul tema cruciale della cura e della cittadinanza fra medici di origini straniere.
In Italia dal ’94, cittadino italiano da dieci anni, dice che ci sono diversi medici africani, quasi tutti del Camerun, che si laureano nella facoltà di Parma anche se in ospedale ne entrano pochi: la maggior parte va a lavorare nelle case di cura o a fare la guardia medica. E alla domanda che ci poniamo da molto tempo, sui motivi per i quali i medici stranieri siano considerati professionisti di serie B, Tchana spiega «Secondo me questo tema va visto su due piani diversi. C’è un discorso burocratico, che impone la cittadinanza italiana come prerequisito per accedere ai bandi pubblici. Questo evidentemente implica una grossa scrematura tra i laureati. Ma è una discriminazione che prima partiva già dai corsi di specializzazione, accessibili agli extra Ue solo se erano in possesso di una borsa di studio. Una prima apertura c’è stata quando hanno inserito la carta di residenza per consentire agli extra Ue di specializzarsi. Purtroppo manca un disegno di più ampie vedute, l’Italia si muove sempre a singhiozzo rispetto all’immigrazione».
Eppure con l’emergenza Covid il governo ha esteso la possibilità di accedere al sistema sanitario nazionale a chi ha un permesso di soggiorno. «Purtroppo in Italia si tende a muoversi sulla contingenza rispetto all’immigrazione, in risposta a un bisogno immediato. Anche questa è una risposta emergenziale al problema, ma non saprei dire quanto abbia cambiato le cose», ci ha spiegato Tchana, anche se ci ha detto che qualcosa sta cambiando e che in ospedale incontra sempre più medici e personale sanitario di origini straniere.
«È un fenomeno che riconduco più che altro a un lento processo di crescita sociale. Ma l’Italia è molto indietro rispetto ad altri Paesi europei». Come la Francia ad esempio, dove lui è stato per seguire suo padre che sognava di diventare medico e invece ha preso invece due lauree in ingegneria e ha fatto pressione sul primogenito Bertrand affinché fosse lui a fare il medico, anche se lui aveva la vocazione opposta e desiderava fare l’ingegnere. Un paradosso che lo ha portato ad essere un’eccellenza e un modello per i medici stranieri che arrivano a Parma per studiare medicina.
«Sicuramente la Francia si è trovata ad affrontare dinamiche migratorie molto prima dell’Italia. Leggi sulla naturalizzazione dei Paesi ex colonie sono ormai ben inserite nel quadro legislativo. Ma i medici stranieri sono penalizzati anche lì. Fino a poco tempo fa esisteva un percorso a doppi binari che consentiva ai medici extra Ue di formarsi in percorsi di studio differenziati. Una volta laureati la loro qualifica non veniva però riconosciuta in Francia, l’intento era quello di farli poi tornare nel loro Paese di origine». Ma perché sprecare tante risorse? «Anche l’Italia vive questo paradosso. È il Paese che forma più medici in Europa, eppure ha una costante carenza di personale sanitario, come si è visto durante la pandemia».
Sembra assurdo, ma tra una decina d’anni in Camerun gran parte dei medici si sarà laureato in Italia. Formiamo tantissimi medici stranieri, che appena laureati espatriano altrove, anche in Europa, a causa di un sistema selettivo volutamente discriminante
«La diversity non si affronta in un giorno, ma finché lo straniero verrà visto come un corpo da tenere a margine, perché non lo si conosce e fa paura, anche la burocrazia sarà discriminante», commenta Tchana.
Medici e infermieri stranieri sono risorse su cui si è investito e che sono fondamentali per il nostro sistema sanitario. Già pensarla tutti così sarebbe un bel punto di partenza
Al workshop sulla diversity leadership nella sanità Bertrand Tchana vuole provare a ragionare su alcuni punti che accomunano le esperienze di noi professionisti di origini straniere. Il percorso di integrazione, il bagaglio culturale che devi preservare e su cui ti appoggi per far fronte alle difficoltà che espatriare comporta. Ma anche il concetto di malattia, che ha una forte valenza culturale.
Ci auguriamo che questo confronto possa essere uno stimolo per un dibattito più ampio sul tema e che possa contribuire ad avere sempre più medici e personale sanitario di origini straniere nei nostri ospedali, perché abbiamo bisogno di loro.