«Ripugnanti!». È questo il termine forte con cui il premier portoghese Antonio Costa ha commentato le parole del ministro dell’Economia olandese Wokpe Hoekstra, falco tra gli oppositori agli aiuti ai Paesi del Mediterraneo colpiti dal Coronavirus. Sono parole mai usate prima in un Consiglio europeo, che mettono in luce una rottura empatica in Europa. Costa è il capo dell’unico governo davvero di sinistra dell’Unione, sostenuto anche dai radicali. È proprio nelle sue corde anche la recente decisione di fare una rapida sanatoria per gli stranieri irregolari in Portogallo.

La questione nasce da un gruppo di nepalesi impiegati in nero nelle campagne. Tra loro era stato trovato un caso positivo al Coronavirus e tutto il gruppo era stato messo in quarantena ma, per paura dei controlli, molti erano scappati. Ne è seguito un infuocato dibattito sui media lusofoni e alla fine il premier ha preso la decisione più saggia: sanatoria per tutti. Inoltre, chi aveva fatto domanda di permesso di lavoro, soggiorno o residenza prima del 18 marzo, lo otterrà automaticamente.

A Lisbona la chiamano “legalizzazione express”: per tutti sarà possibile accedere ai servizi sanitari e alle altre facilitazioni che il governo sta mettendo in campo per contrastare la pandemia, inclusi benefici di welfare come il sussidio di disoccupazione.

«È un modo per proteggerci» dicono dal governo, reagendo alle immancabili critiche della destra. In altre parole (parafrasando i sovranisti nostrani): “prima i portoghesi” significa evitare che il virus attecchisca nelle collettività straniere clandestine per poi contagiare tutti.

Davanti al Coronavirus siamo tutti uguali: sembra una formula semplice da comprendere, ma non tutti vogliono arrendersi a tale evidenza. E si sa, l’egoismo è stupido.

Il Portogallo sta indicando una strada a tutta l’Europa: se si vuole sconfiggere la contaminazione occorre che tutti siano coinvolti senza escludere nessuno. L’ha detto papa Francesco durante la preghiera in Piazza San Pietro il 27 marzo scorso, usando un proverbio popolare: «Siamo tutti sulla stessa barca».

Per ora il provvedimento dura fino al 1° luglio, anche se c’è chi prevede che sarà reso stabile: inutile far emergere il “nero” se poi lo lasci ricadere nell’ombra. Anzi, alcuni esperti sostengono che la crisi emergenziale attuale può assolutamente servire a bonificare il mercato del lavoro. È un tema che riguarda anche l’Italia: tutte le misure oggi intraprese dal governo Conte, ad esempio, si rivolgono a coloro che sono in sofferenza e che possono essere raggiunti. Ma esiste in Italia una parte di forza lavoro che non può esserlo, e non si tratta solo dei cosiddetti “clandestini”: sono almeno 3 milioni i lavoratori del sommerso e al nero, quelli che non appaiono in nessun database dell’Inps o dell’Inail. Persone che non hanno richiesto nemmeno il reddito di cittadinanza per paura di essere scoperti a fare un lavoro non regolarizzato.

In Europa meridionale (soprattutto ma non soltanto) vi sono pezzi di mercato del lavoro non regolari, nei quali proliferano le mafie. Da quando il lavoro è divenuta una merce rara, la criminalità organizzata se ne occupa, provvedendo a somministrarlo e a far incontrare domanda e offerta, tutto rigorosamente in nero.

Da qui la ripresa del caporalato in Italia negli ultimi anni, così come in Spagna, Portogallo e Grecia, in particolare nel settore agricolo. Tuttavia in altri settori, come l’edilizia e la piccola manutenzione, tale tema riguarda tutta Europa (Nord legalista compreso). Altrimenti non si spiegherebbe la polemica sul famoso “idraulico polacco” che scatenò il dibattuto proprio al Nord. L’esempio portoghese sarebbe da seguire. È la cosa più sensata da fare.

Foto: Dietmar Reichle/Unsplash