Un rettangolo privo di colore è apparso recentemente sulle bacheche di molti profili social. È imploso quasi subito, come un buco nero, inghiottito in fretta dalla websfera. #BlackLivesMatter, un rettangolo nero, sorprendentemente chiaro. L’ho pubblicato anch’io e l’ho visto sugli altri profili che galleggiano nella mia bolla digitale.
Con sempre meno semiologi disponibili (R.I.P. Paolo Fabbri), azzardo una lettura da solo: quel rettangolo è uno specchio magico che riflette assenza e presenza. Assenza delle vite dei neri dalla nostra società iniqua e presenza delle vite dei neri nella nostra consapevolezza di uomini giusti. Scintille di vanità da Black Mirror.
Penso: siamo ricaduti ancora una volta nell’associazione afroamericano – colore nero. Nel contesto più ampio della dialettica sull’uguaglianza dei diritti, influirà a favore o a sfavore della causa?
Poi penso: alzare la voce sillabando un confuso le vi-te dei ne-ri con-ta-no e levi-te di tut-ti con-ta-no, amplificherà il mio senso di giustizia. Ma poi, a quale narrazione politica farà eco il mio grido?
Poi ri-penso: oltre alla politica, dove si sta giocando la partita del cambiamento?
Certo che, se riuscissimo ad ignorare l’elefante nella stanza, magari scorgeremmo la volpe. La pochezza culturale della politica esalta l’astuzia delle corporation che si muovono tatticamente e parlano con voce più autorevole rispetto ai governi, più competente rispetto ai singoli cittadini e più forte rispetto ai movimenti sociali.
Le superpotenze della comunicazione globale, da Nike a CityGroup, da Twitter a Netflix, si sono appropriate della battaglia e – in un mondo abituato a ragionare per semplificazioni e dicotomie – hanno scelto di stare dalla parte giusta, quella degli oppressi.
Ora che i pesi massimi hanno preso posizione, gli altri brand globali che non si adegueranno appariranno parte del problema. Esattamente quello che i movimenti per i diritti civili chiedono di fare a noi singoli cittadini privilegiati. Indifference makes us blind, l’indifferenza ci rende ciechi.
Potrebbe non essere una cattiva notizia. Le corporation sapevano già educare le masse agli stili di vita democratici, retroterra necessario a giocare le partite economiche di lungo periodo.
Ora, cavalcando l’onda della comunicazione empatico-politica, possono segnare confini ancora più vicini al loro posizionamento ideale: il campo della politica moderata, conservatrice e progressista, equamente refrattaria all’autoritarismo illiberale. Il territorio politico, tanto per fissare due coordinate, che si dispiega fra Schwarzenegger e Bergoglio.
Allora sì che a noi cittadini, consumatori e pro-sumatori interesserà maggiormente eleggere il prossimo consiglio di amministrazione di Nike a suon di shopping online e like, invece di eleggere il prossimo polveroso parlamento andando prosaicamente a votare.
Foto: Clay Banks / Unsplash