«Quando si parla di accoglienza, io non penso al finto rifugiato ma quello vero», ha detto Antonio Tajani durante un convegno dedicato all’Europa che si è svolto al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Esponente di Forza Italia e presidente del Parlamento europeo, cerca di restare in equilibrio fra i due poli opposti sull’immigrazione. A Rimini ha concesso a Radici un‘intervista esclusiva su flussi migratori e sull’integrazione.
Presidente Tajani, cosa deve fare l’Europa per governare i flussi migratori?
Si deve intervenire nei luoghi di origine prima che partano, in Africa e in Medioriente. Con accordi e investimenti, come abbiamo fatto con la Turchia. Ovviamente, senza stabilizzazione della Libia è complicato trovare una soluzione.
Siamo sempre a dibattere sullo stesso problema. Cosa è stato fatto di concreto?
Servono investimenti e tempi lunghi. Nessuno ha la bacchetta magica. In Niger abbiamo investito un miliardo di euro e siamo passati da 300 mila passaggi nel 2016 a 10 mila nel 2018. Non dimentichiamo che in Africa ci sarà una crescita demografica vertiginosa: nel 2050 gli africani saranno 2 e miliardi e mezzo, nel 2100, 5 miliardi. Se non interveniamo, ci saranno movimenti migratori di portata biblica. E nessuna operazione di sicurezza alle frontiere, sia in mare sia in terra, sarà in grado di fermarli.
L’Unione Europea deve fare autocritica? Si può continuare con la politica del rimando?
La politica del rimando riguarda alcuni stati membri che non vogliono condividere il peso dell’accoglienza e affrontare il problema dei flussi migratori, ma devono farlo prima che sia troppo tardi e tocchi a loro. Basta pensare alla Germania che, quando ha dovuto affrontarlo, si è resa conto della rilevanza del problema. L’Europa non è un’entità astratta, ma è formata dagli stati membri. Dire non diamo soldi all’Europa è demagogia.
Abbiamo 5 milioni e mezzo di immigrati fra residenti e stranieri, mentre i nuovi italiani sono 1 milione e 200 mila. Non crede che il nostro Paese debba fare i conti con questi numeri?
L’integrazione può avvenire solo se abbiamo un forte identità, come facevano romani. Se invece abbiamo un’identità debole, ci si si chiude. Non è una questione di colore o di pelle. Solo così possiamo fare integrazione. Se hai identità forte, non hai paura. Se si affievolisce, hai paura e non puoi trasmetterla. L’identità nazionale è legata alla cultura, alla democrazia, alla storia e alla religione. Chi viene qua, deve parlare e volersi sentire italiano. Non solo a livello formale: deve condividere i valori fondanti dell’italianità.
Ormai la percezione della paura è un sentimento così diffuso che induce molti italiani a non distinguere fra migranti, figli adottati dalla pelle nera e nuovi italiani. E a demonizzarli tutti.
Sono debolezze dovute all’inciviltà. Non fa parte del nostro modo di essere. Non è così che si difende l’italianità e la convivenza.
Come si può interrompere il braccio di ferro del governo con l’Unione Europea ad ogni sbarco?
Il Parlamento europeo ha già approvato la revisione del trattato di Dublino con una proposta ragionevole che impone la ridistribuzione dei migranti in tutti Paesi europei. Se gli stati membri l’avessero condiviso, non avremmo mai avuto il caso Diciotti perché ci sarebbe stata la ridistribuzione dei migranti all’interno dell’Unione Europea. Deve essere approvata entro la fine dell’anno, ma se Paesi come l’Ungheria o la Polonia si rifiuteranno temo che le cose possano peggiorare. Non è respingendo qualche centinaia di migranti che si risolve il problema. Bisogna avere una strategia complessiva per governare i flussi. Non sono favorevole ad aprire le porte a tutti: poter far arrivare immigrati qualificati attraverso i corridoi umanitari può essere parte della soluzione del problema. Ma non basta, ripeto: tutti gli stati membri devono fare la propria parte.
Da dove nasce la polarizzazione sul tema dell’immigrazione?
Dalla mancata soluzione ai problemi che si sono incancreniti e hanno innescato la reazione dei cittadini.
Qual è la sua visione?
A breve termine si deve riuscire a prevenire le partenze, con accordi e investimenti nei luoghi di origine dei migranti. A medio termine bisogna stabilizzare la Libia perché la Libia è il problema dei problemi. A lungo termine invece, ci vuole un piano Marshall per l’Africa con un investimento di 50 miliardi di euro. Ci vuole credibilità e una visione complessiva, altrimenti il fenomeno migratorio aumenterà, altrimenti i flussi diventeranno biblici.