Per tutti i romeni che, come me, sono arrivati in Italia prima dell’ingresso della Romania nell’Unione europea, il 2007 è ricordato come annus horribilis. In quell’anno si parlava ovunque di due casi di cronaca. Il primo di Doina Matei, la donna romena che il 26 aprile colpì l’occhio della studentessa Vanessa Russo con la punta dell’ombrello su una banchina della metropolitana di Roma (la giovane morì dopo un giorno). E di quello di Romulus Mailat, il romeno che a ottobre uccise Giovanna Reggiani nei pressi della stazione ferroviaria di Tor Di Quinto, a Roma. Ricordo la preoccupazione di allora e le domande riguardanti l’integrazione della comunità romena, interrogativi che mi ponevo ogni giorno e ai quali ritenevo di avere l’obbligo di rispondere.

La pazienza dei lavoratori romeni

Dopo l’entrata della Romania nell’Unione europea, l’1 gennaio 2007, il numero dei romeni è aumentato esponenzialmente raggiungendo alla fine di quell’anno i 625.278 cittadini. Soltanto un anno prima la comunità romena ne registrava 342.200. Nonostante gli infelici fatti di cronaca occupassero le pagine dei giornali e gli studi televisivi sia in Italia che in Romania, ero fiduciosa che quella stagione non avrebbe stigmatizzato un’intera comunità. Non è stato facile sostenere questo punto di vista anche tra i romeni che conoscevo, in un momento in cui si metteva in dubbio l’ingresso della Romania nell’Ue e la libera circolazione dei cittadini.

Sono passati 14 anni e la comunità romena in Italia è arrivata a contare quasi 1.200.000 di cittadini. Nelle scuole ci sono 157.470 studenti romeni (dei quali 96.393 nati in Italia) e i lavoratori stagionali vengono per impieghi in agricoltura, sul litorale o in località di montagna anche grazie alla libera circolazione all’interno dell’Ue

L’anno scorso si è parlato delle lavoratrici stagionali romene arrivate in Italia con un aereo privato del titolare dell’azienda vitivinicola per la quale lavoravano. Il titolare, Martin Foradori Hofstatter, ha dichiarato in un’intervista di avere messo a disposizione l’aereo privato per via delle restrizioni della pandemia e perché la dedizione e la professionalità delle lavoratrici sono insostituibili, soprattutto in un momento di crisi sanitaria. Oggi, la pazienza di tutti quei romeni che a un certo punto si sono sentiti discriminati da entrambe le parti ma che hanno continuato a percorrere la strada dell’integrazione, è premiata e ricompensata.

l’Italia è il Paese che scelgo ogni giorno

Io ho imparato ad amare l’Italia, il Paese che continuo a scegliere ogni giorno. Il primo ad arrivare è stato il mio papà. Nel 1996 ha deciso di lasciare la Romania anche se i rischi per arrivare in Italia illegalmente erano alti. Ma lui conosceva già l’italiano, che aveva studiato da solo quando era al liceo, e un conoscente che faceva il camionista era prossimo a viaggiare proprio in Italia. Io sono arrivata nel 2002 con un ricongiungimento famigliare, dopo che mio padre è stato messo in regola con la legge Turco-Napolitano. In Romania avevo preso la maturità linguistica e, una volta arrivata in Italia, ho deciso di proseguire gli studi all’università iscrivendomi a Mediazione Linguistica e culturale alla Statale di Milano.

Al mio arrivo in Italia avevo 19 anni, mentre oggi ne ho 38. Ho trascorso metà della mia vita in Romania e metà in Italia ma gli anni passati in Italia pesano di più nella mia formazione e definizione come persona e cittadina

L’iter di integrazione e il passaggio da extra-comunitaria a cittadina italiana è stato lungo e non è dipeso necessariamente dallo status giuridico. Per me, l’integrazione ha percorso due binari: definirmi come persona scegliendo la mia direzione e conoscere l’Italia diventando italiana senza dimenticare la Romania. Un discorso che ho avuto l’occasione di ascoltare personalmente, fatto da un politico italiano in occasione del 150° anniversario dell’Unità nazionale, mi ha fatto capire che la strada sulla quale mi trovavo era la stessa che stava intraprendendo l’Italia mentre cercava di scoprire la sua identità di oggi. «Noi non siamo più un paese di emigranti, siamo un paese in cui giorno per giorno c’è il problema della presenza e dell’integrazione dello straniero. (…) Ragazze e ragazzi che sono italiani quanto noi, che per certi aspetti parlano il dialetto, non solo la lingua, che si sentono profondamente italiani, che amano la loro patria, ma la loro patria, la nostra e la loro Italia non è la terra dei loro padri. Perché hanno genitori nati altrove. E nel futuro sarà sempre più presente questo fenomeno». Queste furono le parole di Gianfranco Fini nell’ottobre del 2010, al Teatro Derby di Milano.

In Italia ho avuto l’occasione di mettere a frutto le conoscenze acquisite in Romania durante i miei studi ma ho anche scoperto alcune mie capacità e competenze che non avrei considerato se fossi rimasta in Romania. L’Italia mi ha indicato una strada lavorativa facendomi conoscere le opportunità di settori che in Romania erano poco sviluppati. Dopo la triennale in Mediazione linguistica e culturale ho scelto una specialistica in Economia e commercio internazionale e così ho iniziato a lavorare nel settore bancario. E ricordo la mia esperienza come stagista nel Comune di San Giuliano Milanese presso l’Ufficio stranieri e l’Ufficio relazioni con il pubblico. Ero al terzo anno di studi universitari e dovevo fare un periodo di stage. Il Comune diede corso alla mia richiesta e così ebbi modo di vedere da vicino un’istituzione al servizio del cittadino. Non ero abituata a una certa apertura e disponibilità da parte dei funzionari pubblici perché in Romania mancava la fiducia nelle istituzioni dello Stato.

I punti di incontro fra Italia e Romania

La comunità di San Giuliano Milanese è stata quella che mi ha accolto al mio arrivo in Italia, quando mio padre aveva affittato un appartamento per poter fare il ricongiungimento famigliare. I tanti piccoli gesti delle persone del posto hanno contribuito alla mia integrazione in una società che allora non conoscevo ma che oggi è parte di me. Con il passare del tempo mi sono resa conto di quanto siano impressi nella mia esistenza la cultura, la storia e i valori italiani. Quando sono in vacanza all’estero e mi viene chiesto da dove arrivo io rispondo che abito in Italia, a Milano, e in quel momento sono italiana. Ma i punti di incontro tra Italia e Romania sono davvero tanti. Me ne sono accorta nel tempo: più conoscevo l’Italia e più emergeva il mio lato romeno. Quando ho scoperto, dopo più di dieci anni che abitavo in Italia, che il cozonac, il dolce tipico delle feste in Romania, si cucina anche in Friuli e si chiama gubana, ho realizzato che nella diversità italiana ognuno può trovare il suo spazio.