Una vita che sto qui

Può il teatro offrire radici condivise a nuovi italiani e anziani della periferia?

Si è tentato di scoprirlo con il progetto “A teatro nessuno è straniero”, costruito dalla Classe Cultura e cittadinanza della scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con l’associazione “A teatro”. Il progetto ha previsto per gli studenti della classe un percorso di 9 spettacoli a prezzo accessibile, introdotti in classe da esperti teatrali e poi commentati in momenti laboratoriali costruiti con gli insegnanti della scuola.

Si apre il sipario

Al centro della scena un’anziana, ha in mano i vestitini del figlio, racconta di quando era piccolo, in milanese; fra gli spettatori la guardano attenti due occhi scuri, seguono i movimenti, le mani per capire meglio quello che la signora sta dicendo. Le emozioni invece non hanno bisogno di traduzioni.

La signora che racconta è un’attrice di teatro di lungo corso: Ivana Monti, nello spettacolo del teatro Franco Parenti Una vita che sto qui. Lo sguardo in platea è di una cittadina italiana, Celia Zavala, di origini peruviane e anche lei a Milano da una vita. Se l’attrice sul palco è da sola, lei invece è in quel teatro con i compagni di classe della scuola di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio, che partecipano con lei al progetto A teatro nessuno è straniero.

Un personaggio molto autentico sul palco

Lo spettacolo finisce, il pubblico lascia la sala ma non Celia, che insieme alla sua classe incontra Ivana Monti. Possono fare domande: parlano del personaggio, della storia narrata. È qui che Celia capisce che molti aspetti del personaggio di Adriana hanno le loro radici nella biografia dell’attrice, cresciuta nelle case popolari della periferia milanese del Corvetto.

Quando durante lo spettacolo sono stati citati due ragazzi morti di eroina, l’attrice ha voluto ricordare due ragazzi che conosceva e che sono morti per quel motivo. Dice: «Il Daniele ed il Robi: è l’unica occasione che ho per parlare di loro, di ricordarli, di piangerli, almeno di ridire il loro nome».

L’attrice racconta che tanti degli oggetti di scena sono suoi oggetti personali. Nella scena con i vestiti da bambino, lo scenografo voleva utilizzare delle foto di scena, invece lei ha preteso di usare i vestiti di suo figlio. Tutto questo ha dato allo spettacolo grande autenticità: «L’abbiamo sentita molto vera, molto sincera» dice Celia.

 

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La storia di Milano negli anni ’60 e ’70 non è nel vissuto di Celia, sebbene in anni più recenti anche lei abbia frequentato il Corvetto e i suoi anziani.  Alcune delle signore che ha conosciuto assomigliano al personaggio di Adriana: «Ci sono venute in mente delle persone che abbiamo conosciuto: Adriana aveva gli stessi movimenti e lo stesso corpo di una di loro quando si andava insieme a prendere il caffè o quando lei si preparava il caffellatte».

Preconcetti reciproci, radici condivise 

Non manca una riflessione sulla diffidenza degli anziani, a tratti sul loro razzismo: «Adriana nello spettacolo chiama tutti i suoi vicini di casa “Africa”. Per lei sono persone lontane anche se sono i suoi vicini di casa nelle case popolari». Celia questa diffidenza l’ha vissuta: «È il pregiudizio iniziale che molte persone, soprattutto anziane, hanno verso il nuovo, verso ciò che viene da fuori, quindi verso lo straniero». Non ci sono risposte facili. Celia Zavala però crede che «quando conosci una persona, magari parlandoci, lavorandoci, si può avere un’idea diversa».

I preconcetti ci sono da entrambe le parti: chi viene in Italia dall’estero troppo spesso ha poca conoscenza della storia recente, almeno di come l’hanno vissuta nei quartieri popolari le persone semplici. Diversi hanno l’idea pensa che in Italia problemi come la droga o il terrorismo non esistano. Molti stranieri pensano che gli anziani siano ricchi, solo perché sono italiani.

Celia Zavala ha figli e per loro, dopo aver visto questo spettacolo,  ha un sogno: «Sarebbe bello che i nostri figli avessero una nonna così, che raccontasse loro in quel modo tutto il suo bagaglio di esperienze». Nel personaggio di Adriana sono stati cuciti insieme ricordi di gioie e dolori che si possono scoprire in ogni vita. Grazie a questo personaggio sono venuti alla luce tanti aspetti prima sconosciuti a molte persone. Realtà sue e della Milano delle periferie, dove lei e Celia vivono e che potrebbero divenire, oltre che spazi di crescita comuni, anche radici condivise.