In queste settimane abbiamo tutti accettato le limitazioni alla mobilità imposte per scongiurare la diffusione del contagio. Dopo aver vissuto a lungo nella sicurezza di avere un passaporto forte, un passaporto che ci avrebbe permesso sempre di spostarci da una nazione all’altra con facilità, come italiani ci siamo ritrovati con in tasca quella che per molti era solo una patente di untori. Chi era fuori per l’Erasmus ha cercato di rientrare, chi invece in altri Paesi ha intessuto nuove radici è rimasto dov’era prima del Coronavirus.

Abbiamo colmato la distanza vedendoci attraverso le videochiamate. I più capaci (o i meno impediti, che dir si voglia) hanno imparato a muoversi agilmente tra una app e l’altra: Houseparty per ritrovarsi con gli amici, il più serioso Zoom per le riunioni di lavoro, Skype quando proprio non c’è altro modo.

Ma cosa accade quando le distanze da colmare sono continenti? Come vive questo momento storico incerto chi ha famiglia altrove? In che modo si informano su ciò che sta accadendo nel loro Paese di origine? Cosa li preoccupa maggiormente? Cosa si aspettano dall’immediato futuro?

La seconda a rispondere alle cinque domande di NRW è Sun Young Koo, chef ufficiale del consolato della Repubblica di Corea a Milano, la cui famiglia vive a Daegu. Da ventiquattro anni in Italia, Sun è felice che la situazione sia sotto controllo in Corea del Sud, ma per quanto la riguarda ha paura delle discriminazioni che la possono colpire in Italia, e l’hanno già colpita sui mezzi pubblici, dove si è accorta che la gente ha iniziato a guardarla male. Video a cura di Sara Lemlem.