Altro che sassolini dalla scarpa. Quelli che il rapper Tommy Kuti s’è tolto di dosso, nel suo primo libro (Ci rido sopra. Crescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini, Rizzoli) asfalterebbero il vialetto di casa. Primo afrodiscendente italiano a firmare con la Universal, secondo classificato nell’ultima edizione di Pechino Express, il rapper che ha conquistato il talentuoso Fabri Fibra ne ha un po’ per tutti. Dal collega Sfera Ebbasta a Chiara Ferragni, dal padre (leghista) della prima fidanzatina al sistema scolastico italiano, arrivando a Zingaretti: «La verità è che quando faccio musica sono molto più tranquillo» ammette, «perché sento di avere un ruolo morale. Quando faccio musica penso anche ai ragazzi che mi seguono, ai miei fan, ma anche al giudizio di chi lavora con me. È normale. Mentre nel libro trovate un Tommy Kuti senza filtri, ma anche senza aspettative: se va bene, sarà contento. Se andrà male, mi sarà risparmiato qualche anno con l’analista».
Ha scritto un libro per questo, per risparmiare i soldi dell’analista?
«La verità è che mi hanno cercato diverse case editrici, sin dall’uscita del mio successo, Afroitaliano. Dopo Pechino Express sono diventati molto insistenti: la mia manager mi diceva che non ero pronto, che dovevamo aspettare».
In realtà, da bravo egocentrico, avevo già in mente la scaletta, i singoli capitoli. Mi serviva un escamotage, che è arrivato grazie al diario di mio papà Samuel. Ogni capitolo è introdotto da una pagina del suo diario.
Mi ha colpita molto il capitolo sul razzismo, nel quale tra l’altro scrive un divertente decalogo che si conclude con “Basta con la frase ‘Non sono razzista, ma…’. Qualsiasi cosa venga dopo quel ‘ma’ è razzista”.
«È un tema importante per me, e anche delicato. Non volevo finire nel banale, nel qualunquismo. Sono davvero contento di aver parlato del mio amico Tyrone Nigretti e della sua disabilità, per far capire il concetto che finché non vivi o ti avvicini ad una realtà e alle difficoltà che una persona affronta nel suo quotidiano, non potrai mai parlarne. Ed è assai difficile che ad un bianco sia data la possibilità di vivere da vicino e in prima persona le discriminazioni che un nero vive quotidianamente. Pensarla diversamente è pura arroganza».
Un altro tema che affronta senza peli sulla lingua è quello economico: “Non date per scontato che i neri siano tutti poveri”.
«C’è un episodio che ho non sono riuscito a inserire nel libro. Ero in terza media. A quell’epoca i miei genitori avevano già aperto il loro negozio, lavoravano davvero tanto e io nel tempo libero andavo ad aiutarli, anche nel fare i conti. Sapevo esattamente quanto guadagnassero. E mi ricordo che a scuola ci chiesero di compilare un formulario, nel quale dovevamo anche indicare a grandi linee in che fascia di reddito si trovassero i nostri genitori. Ricordo perfettamente di aver detto alle maestre che eravamo nella fascia più bassa perché, se avessi detto loro che eravamo tra quelle più alte, semplicemente non mi avrebbero creduto».
Lei è cresciuto a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Brescia, ha studiato a Cambridge, nelle sue canzoni parla di identità, nel suo libro spiega la genesi dello ius soli, in Italia. Esattamente, a chi parla Tommy Kuti?
Per prima cosa, sono un comunicatore: la mia laurea a Cambridge era dedicata proprio ai media e alla rappresentazione delle minoranze. Io parlo per la mia generazione, per i ragazzi di seconda generazione che, a differenza di me, non hanno avuto la possibilità di emergere. O non hanno il coraggio di farlo, di parlare apertamente di quello che subiamo tutti i giorni, del razzismo, della chiusura mentale che ancora vige in Italia. Lo capisco: non è obbligatorio farlo.
«Per me invece è importante, non soffro di alcun complesso d’inferiorità rispetto al mio vissuto, non mi vergogno di quel che sono e sono anzi orgoglioso dalla straordinaria storia di successo dei miei genitori. Se considero da dove sono partito e dove sono arrivato, la mia vita è una figata!».