Come si chiama e quanti anni ha?
«Francesco Reale, ho 51 anni».
Si descriva in tre aggettivi.
«Sono altruista, polemico (ah ah ah), sincero».
Descriva il suo lavoro, in una frase.
«In quanto segretario generale della Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, mi occupo di costruire un mondo del lavoro più inclusivo promuovendo il valore della diversità».
Dove ha vissuto negli ultimi 10 anni?
«Ho vissuto tra Piemonte e Lombardia».
Dove sta trascorrendo la quarantena?
«A casa, con la mia famiglia».
Il Covid-19 ha fermato le aziende, ma non le menti: a quali progetti sta lavorando?
«Sto lavorando per cogliere questa grande opportunità di riaffermare il valore della diversità, dopo questo grande esperimento sociale che ci ha resi tutti diversi e ci ha messo tutti in difficoltà, costringendoci a rivedere le nostre certezze e le nostre abilità. Occorre pensare e supportare i più deboli ma oggi siamo tutti fragili o almeno abbiamo preso coscienza della fragilità».
Allo specchio: quali sono i tre obiettivi che vuole raggiungere entro l’anno, nonostante il virus?
«Maggiore tutela dei più fragili e delle categorie a rischio esclusione, sostenibilità e replicabilità dei progetti che sviluppiamo, mantenere e ampliare la rete di relazioni».
Questione di simboli: qual è l’immagine della ripartenza della sua attività, per lei?
«Il luogo di lavoro: va totalmente ripensato ed insieme ad esso, anche le relazioni e gli equilibri».
Il mondo post-Coronavirus: qual è l’abitudine che, nel bene o nel male, dovremo dimenticare?
«Più che stringerci la mano, che è un gesto quasi automatico, io penso all’abbracciarci. Spero di non doverlo cancellare, faccio fatica a pensarlo, ma temo sarà così per un po’ di tempo, in attesa del vaccino».
Parliamo di NRW: qual è la storia che l’ha colpita di più?
Più che la storia sono le storie, i talenti e le persone che si incontrano. Nuove Radici.World racconta con grande semplicità storie vere, storie di inclusione, storie di talento spesso legate a percorsi difficili, strade impervie, difficoltà nel trovare un alloggio, studi serali, problemi di lingua e esperienze lavorative non sempre facili. Sono storie di tenacia, grande umiltà e resilienza come quella di Khady Diouf, storie di nuovi italiani e nuove vite.
«In questo periodo dello “state a casa” mi ha anche colpito l’articolo su chi una casa non ce l’ha e ho molto apprezzato e condiviso anche il modello Portogallo per contrastare i contagi, prevenire il virus e combattere il lavoro nero e la piaga del caporalato nei campi con la “legalizzazione express”. Davanti al Coronavirus siamo tutti uguali. Una bella occasione per una riflessione sulla situazione italiana».