Lo scorso 31 maggio, il gruppo di attivisti di Anonymous si è schierato con le proteste antirazziste seguite alla morte di George Floyd. Tra le varie azioni messe in campo, avrebbe hackerato la radio della polizia di Chicago trasmettendo per un paio di minuti Fuck Tha Police, storico (classe 1988) brano di denuncia dell’hip hop vecchia scuola firmato NWA, acronimo di Niggaz Wit Attitudes. L’ennesima testimonianza che gli amici artisti non solo ci fanno divertire ma hanno anche lo straordinario potere di funzionare da cassa di risonanza per questioni civili e politiche attirando grandi numeri di sostenitori. Abbiamo appena assistito sui social all’adesione da tutto il mondo all’iniziativa #blackouttuesday promossa dalle etichette discografiche e stiamo vedendo proliferare rap di denuncia direttamente legati alla morte di Floyd, come quello di LL Cool J sul suo profilo Instagram. E non è solo una deriva modaiola o di convenienza, la lista dei musicisti impegnati è lunga, di vecchia data e ben popolata.
Restando nell’area del rap che ha fatto scuola non si può non parlare dei Public Enemy. Fight The Power è una vera chiamata all’azione contro i soprusi sugli afroamericani consacrata da Spike Lee nel film Do The Right Thing del 1989. Le tensioni razziali alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti erano fortissime e i Public Enemy le rappresentavano pienamente con i loro versi incendiari: Elvis è stato un eroe per molti / Ma non ha mai significato niente per me / Era uno stronzo razzista / Puro e semplice / Fanculo lui e John Wayne / Perché sono nero e ne sono fiero!
Sono diventate di culto le scene in cui il personaggio del film Radio Raheem se ne va in giro con un mega stereo, l’epocale ghetto blaster, che trasmette in continuazione la canzone dei Public Enemy.
Negli ultimi dieci anni, l’hip hop di denuncia è stato portato avanti dal duo statunitense Run The Jewels che ha introdotto una novità di non poco conto sulla scena del genere: Killer Mike è nero ed è di Atlanta e El-P è bianco e viene da New York. I due hanno pubblicato proprio in questi giorni il loro quarto album, RTJ4, rendendolo disponibile gratuitamente in rete come fanno abitualmente. È una fotografia senza filtri della situazione attuale e, sembrerebbe una coincidenza incredibile che sia stato scritto prima della morte di George Floyd, se non fossimo consapevoli, purtroppo, che è solo la storia che si ripete.
E ogni giorno al telegiornale della sera ti somministrano paura gratuita / E tu sei così insensibile che guardi i poliziotti soffocare un uomo come me / E finché la mia voce non passa da un urlo a un sussurro, ‘Non riesco a respirare’ / E tu stai seduto a casa sul divano e lo guardi in TV / Il massimo che puoi fare è una sfuriata su Twitter chiamandola tragedia.
Facendo un salto indietro nel 1958, quando l’attivismo degli artisti neri era ancora praticamente inedito, il sassofonista Sonny Rollins, con la collaborazione di Max Roach alla batteria e Oscar Pettiford al contrabasso, dava il suo contributo al movimento per i diritti civili con l’album Freedom Suite, considerato la prima composizione strumentale apertamente schierata a favore della libertà di espressione artistica (del free jazz, che nasceva in quegli anni) e della lotta antirazziale. Il brano omonimo in apertura dura quasi venti minuti, e qualcuno ha ipotizzato un riferimento alle lunghe sofferenze degli afroamericani. Il brano però è tutt’altro che una sofferenza, anzi, è un vero capolavoro di variazioni di stile che lasciano fluire le emozioni all’interno di uno schema con un chiaro obiettivo, come nelle migliori improvvisazioni.
Infine, volendo andare oltre le emozioni e farsi venire direttamente la pelle d’oca non resta che affidarsi all’icona delle lotte per i diritti civili, Nina Simone. Due anni dopo aver pubblicato Mississippi Goddam, il cui testo parlava delle morti di quattro bambini afroamericani in Alabama e dell’uccisione dell’attivista Medgar Evers, nel 1966 Simone faceva uscire Four Women, che sul tema razziale innescava la questione del punto di vista femminile. La mia pelle è nera / le mie braccia sono lunghe / I miei capelli sono lanosi / Le mie spalle sono forti / Forti abbastanza da sopportare il dolore.
La canzone è costruita sulle storie di quattro donne afroamericane, provenienti da origini e contesti diversi ma accomunate dalle violenze subite per il genere e il colore. Quando la lotta civile si unisce alla denuncia degli abusi sulle donne, ma questa è un’altra storia ancora.