Khady Diouf avrebbe dovuto partecipare come relatrice all’incontro “I nuovi cittadini incontrano Milano”, organizzato da NRW nell’ambito della Civil Week, sospeso e rimandato a causa del Coronavirus. Dopo averle parlato al telefono, incrocio il suo sguardo su Skype. Khady Diouf mi parla da Romano di Lombardia, dove vive dal 2006, anno in cui lei e tre dei suoi fratelli e sorelle hanno raggiunto il padre in provincia di Bergamo da Kaolack, una delle più importanti città portuali del Senegal – e capoluogo dell’omonima regione – che però nei suoi ricordi diventa un paesino. In tempi normali, ogni giorno parte dalla bergamasca per venire a Milano a lavorare.
«Quando mi vedono arrivare insieme all’agente immobiliare per cui lavoro mi squadrano. Guardano il foulard che copre i miei capelli, il mio viso, e vedo tutto il loro stupore: “È lei la persona con cui ho parlato al telefono per l’appuntamento?”, “Sì, sono io”».
Prima di diventare assistente agente immobiliare, Khady Diouf faceva la cameriera ai piani. «Ho iniziato tardi le superiori, appena arrivata facevo fatica con l’italiano e i miei compagni delle medie non sono stati d’aiuto. A un certo punto sono andata a lavorare: facevo la stagione a Venezia, dove vivono alcuni miei parenti. Ho fatto la cameriera ai piani per cinque o sei anni, ma si lavorava molto e la paga era ridotta, quindi ho deciso di cambiare e ho iniziato a mandare curriculum».
Diouf ha solo ventisei anni ma è sveglia e quindi non si è messa a cercare a caso, mandando la stessa mail a migliaia di contatti diversi: lei ha puntato tutto sull’immobiliare.
In tv avevo visto un agente immobiliare ospite di una trasmissione: aveva molta personalità e mi piaceva il suo modo di parlare e la sua eleganza. Ho fatto diversi colloqui, ma c’è stato chi mi ha detto che l’hijab che porto avrebbe spaventato i clienti. Poi sono arrivata a Remax.
Khady riporta la spiegazione che le hanno dato per non prenderla in considerazione con un tono neutro, guardandomi fissa attraverso lo schermo. Con lo stesso tono, senza alcuna enfasi, racconta del bullismo che ha subito alle medie da alcuni suoi compagni di scuola. «Ero l’unica nera della mia classe, e loro si divertivano a buttarmi per terra, dicendomi cose tipo “Khady, attenta che cadi giù”. Io all’epoca non parlavo bene l’italiano e non sapevo come difendermi. Ho un fratello maggiore che a un certo punto ha iniziato a venirmi a prendere tutti i giorni all’uscita e la cosa è finita lì”».
Li abbassa raramente, gli occhi, e l’unico momento in cui non ci capiamo durante il colloquio – e lei torna a essere diffidente – è quando le chiedo se come giovane donna di bell’aspetto e nera abbia avuto qualche difficoltà con la clientela.
«Io sto prevalentemente in ufficio. Se esco, come assistente sono sempre accompagnata. Non succede spesso ma quando qualcuno è scortese con me, sto ferma, non litigo. Non mi interessa farlo».
Del suo lavoro, le piacciono le prospettive che vede nel futuro. «Non lavoro qui da tanto tempo, sono solo quattro mesi, ma mi piacerebbe diventare agente, e un giorno vorrei aprire un mio ufficio in Senegal». Le chiedo perché in Senegal e non a Milano o a Bergamo, dove vive, e lei mi risponde che le piacerebbe esportare il modello dell’agenzia in Senegal anche per far lavorare i suoi, «Perché l’immigrazione nasce dal fatto che non ci sia lavoro nel proprio Paese, ma se c’è uno rimane».
Anche se ora è difficile immaginare quando potrà tenersi un’iniziativa pubblica come “I nuovi cittadini raccontano Milano”, le chiedo comunque quale sia il suo luogo preferito della città.
E lei risponde come forse risponderebbe il più grande degli agenti immobiliari: Milano 2.
«C’è stato un giorno, qualche mese fa, in cui ero particolarmente scoraggiata, e il broker con cui lavoro mi ha portata in un posto che non conoscevo, che è diventato il luogo che preferisco di Milano. Mi è piaciuto tutto: il verde, il laghetto, i viali, le case di mattoni rossi. E lì mi è tornata la voglia di lavorare». Desiderio che purtroppo ora resta sospeso come per la maggioranza dei suoi concittadini bergamaschi, martoriati da un nuovo focolaio dell’epidemia.