Durante il nostro incontro, in cui ci ha raccontato tutte le bizzarre coincidenze che lo hanno portato in Italia nel 2012, dallo studio di ingegneria alla passione/ossessione per la musica di Faber e all’essere diventato uno scrittore, promotore culturale, manager musicale, Sean White non ha mai smesso di raccontarsi con ironia e senso dell’umorismo. Sebbene sia preoccupato per l’emergenza coronavirus che sta mettendo in ginocchio il suo Paese e lui considera un problema di tutti, come ci ha detto e ripetuto durante l’intervista fatta nella sede de La Stecca 3.0, incubatore di associazioni culturali nel quartiere Isola di Milano.
E proprio lui, che ha lottato per anni contro il padre che lo voleva ingegnere e basta — senza accettare tutti i punti interrogativi che ha suscitato in lui il giorno in cui passeggiando per le strade di Lecco è rimasto folgorato dalla lirica di Fabrizio De André che ha cambiato rotta alla sua vita — ora ha patito le ripercussioni della psicosi creata dall’epidemia del coronavirus.
Il suo nuovo libro, scritto per demolire e sdrammatizzare i cliché sui cinesi, è stato vittima della paura verso quella che lui definisce “la calamità gialla”. La presentazione di La Costellazione del Dragone (edizioni Piemme) è stata sospesa o meglio rimandata ufficialmente perché «Non parlo italiano» , spiega in fluent english, anche se in realtà Zhang Changxiao teme che sia stata la paura a frenare gli entusiasmi per un libro fra l’altro azzeccato perché arrivato martedì scorso nelle librerie. Fondatore e presidente di ICCX (association Italy China culture), Sean White spiega:
L’infezione coronavirus si è creata in Cina, ma poteva accadere ovunque e quindi non è giusto affrontarla come un problema cinese. E la psicosi che si è venuta a creare mi fa pensare alla canzone di De André Bocca di Rosa. Tutti demonizzano una donna attraverso i pettegolezzi che passano di bocca in bocca, creando timori e paure. Io capisco il sentimento della paura, ma credo che dietro la paura si celi l’incapacità di capire i cinesi. Un malinteso culturale che vorrei colmare con questo libro.
Di cosa parla il suo libro, per ora anche lui vittima del coronavirus? Dei cinesi che non sono più, o non sono interamente, un popolo di lavoratori indefessi che sopravvivono con un piatto di riso e dormono in otto nella stessa stanza, ma persone che si trovano a vivere in bilico fra due patrie, due modi di pensare, due identità, due continenti. E da questo incontro, in cui si mescolano timidezza e rabbia, frustrazione e desiderio di riconoscimento, alfabeti occidentali e carne di cane, medicina tradizionale e radici, nascono i cinesi di oggi, guidati da una costellazione di valori tutta nuova, fatta di stelle di volta in volta più vicine o più lontane ma che ora, grazie a questo libro, paiono più chiare, luminose, leggibili. E anche, come spiega Roberto Vecchioni nella prefazione «Dell’integrazione disperata al principio, difesa con i denti e infine gioiosa nel suo coraggio, discreta nella riservatezza, mai insinuante, mai pretenziosa, ligia alle regole, innamorata del Paese nuovo dietro un affetto che è consenso e ammirazione, in un distaccato, quasi infantile pudore nel quale loro mascherano il nostos della lontananza, e per quanto forte lo sentano chiudendo gli occhi, nel riaprirli trasportano l’orgoglio alla nuova terra nella nuova vita» .
Sean White, 32 anni, vive sei mesi in Italia e sei mesi in Cina, dove porta musicisti italiani ad esibirsi, mentre grazie al Mandorla Music Festival porta qui la musica cinese.
Mi definiscono uno scrittore, promoter e manager musicale, ma io sono solo il più grande fan della musica italiana che ci sia nel mondo.
Sean White ha ricevuto in dono il suo nome d’arte in parte da un suo insegnante d’inglese, Ferdy, unico straniero — veniva dal Camerun — nella sua città di origine e in parte dai suoi compagni di studio all’università che, per via della sua fascinazione verso tutto quanto — persone, arte, musica pop — provenisse dall’estero, lo chiamavano “lo straniero”, come il libro capolavoro di Albert Camus. E così ha deciso di chiamarsi Sean White, «bianco per farmi ponte fra le due culture», spiega. Dopo la folgorazione per Faber, suo padre gli ha tagliato i fondi e ha smesso di parlargli. Così Sean White ha vissuto tre anni di oscurità, senza amici, immerso nella musica dei cantautori italiani, a scrivere. Completamente solo. «I cinesi mi guardavano strano, non ero un bravo studente, ero povero, ero stupido insomma», ride.
Nessuno capiva la sua scelta finché non ha scritto e pubblicato in Cina Creuza de Mao nel 2015 che ha venduto 200 mila copie. Un appassionato omaggio alla musica italiana e ai suoi cantautori. «Il mio destino è stato cambiato da De André» sorride e si tocca il cuore, pensando alla lirica di Faber. E anche dagli italiani che considera come bambini che non crescono, puri ma anche molto emotivi.
Fra citazioni di De André e Bob Dylan, ci mostra la lettera che vorrebbe mandare al presidente Sergio Mattarella che inizia così.
Caro Signor Presidente, ti prego di perdonarmi per averti scritto questa lettera. Sono un cinese che si occupa di scambi culturali in Italia. Nel 2012, sono venuto al Politecnico di Milano e dopo aver studiato ingegneria meccanica, mi sono innamorato del poeta Fabrizio de André, ho lasciato gli studi per intraprendere una strada di scambio culturale tra Cina e Italia. Facciamo una piccola conferenza sul mio libro, raccontiamo le storie della cultura cinese e italiana agli amici italiani, eliminiamo i malintesi e favoriamo una migliore integrazione.
Alla fine dell’intervista, ci incamminiamo verso la metro e facciamo un pezzo di strada insieme. Scherzando e sdrammatizzando la sindrome da coronavirus, saliamo sulla metro. E al momento del congedo, pieno di gratitudine per aver conosciuto una persona speciale, notiamo lo sguardo allarmato di alcuni passeggeri agitati. Rinchiusi nella roccaforte delle loro paure, non sanno che lui sta raccontando dell’aumento di coppie miste italo-cinesi che non sanno in che lingua comunicare oltre a quella del cuore. Sean White è uno scrittore e un artista, capace di capire la paura ma non la demagogia d’accatto che si sta stringendo intorno alla comunità cinese.