Questo pezzo nasce da un ‘immagine rubata alle 8 del mattino sulla metro gialla, nel cuore di Milano. Di una donna velata avvolta da un’abaya e dal niqab (bianchi) che la coprono interamente, escluso le mani, e sorvegliata a vista da un giovane uomo, quasi un ragazzino.
Mi guardo intorno: vagone pieno zeppo e nessuno che la guarda. Come se la donna che si sottrae agli occhi del mondo, fosse invisibile. Stranita, mi guardo intorno di nuovo. Non uno sguardo ostile, neanche po’ di nervosismo o quanto meno diffidenza verso quel velo integrale che avvolge il corpo intero di una donna, negandole la libertà per noi (e non solo noi) indiscutibile.
Ognuno ripiegato sul proprio smartphone mostra o simula indifferenza e/o disinteresse. Incuriosita, azzardo un esperimento sociale, anzi social: rubo lo scatto con lo smartphone e lo metto su Twitter.
Da allora ricevo notifiche per 24 ore, ininterrottamente. Insulti per la presunta kamikaze e retuit del mio post. Retuit e insulti. Perché è illegale coprirsi il volto, perché potrebbe nascondere un esplosivo, perché è un fantasma, perché è uno sparviero, «Perché con me non la passava liscia, con la sua provocazione», afferma un account, forse fake. Un solo commento a mio avviso sensato di irritazione sulla battaglia per i diritti delle donne portato avanti anche in Arabia Saudita che questa immagine offende.
Mi mandano immagini di una coppia di donne che col burqa hanno fatto una rapina e, ora dopo ora, la rabbia per «quella stupida beduina» che per legge non potrebbe coprirsi il volto, diventa uno sfogo collettivo nel confessionale anonimo di Twitter. L’onda ostile si ingrossa e i commenti dozzinali pure.
Su Twitter gli indignati sono ancora seduti al loro banchetto dopo 24 ore: arrivano emoticon di rabbia, rigurgiti di vomito virtuale e insulti di ogni tipo verso la donna velata. Cerco di cambiare argomento, invano. Il tormentone continua. Solo stamane sento arrivare una piccola brezza. Qualche commento ironico, ma sono pochi. Potenza simbolica di una foto o islamofobia da social?
Bilancio dell’esperimento: 117 retuit, 185 like, 119 commenti e 13 mila visualizzazioni. In 24 ore. Morale: se c’è uno scontro di civiltà, non è a Milano che tutto assorbe e tutto metabolizza a giudicare dalle reazioni anche delle passeggere che non la osservavano – concentrate a badare ai fatti propri -, ma nella dimensione virtuale in cui possiamo affermare tutto e il suo contrario, coperti dall’anonimato oppure da un nickname. Lì, su Twitter, l’odio e la paura sono sempre in agguato e pronte a diventare virali. Et voilà, il gioco è fatto. Ecco come si crea una realtà percepita su una questione reale e assai controversa.