Mariagrazia Santagati
Autobiografie di una generazione Su.Per
Il successo degli studenti di origine immigrata
(Vita e Pensiero, 2019)

Sessantacinque storie scritte in prima persona ma potrebbero essere mille se non di più. Studenti italiani di origine straniera o stranieri non ancora italiani che raccontano le loro paure e i loro desideri. Le ha raccolte in tutte le scuole di ogni ordine e grado di Brescia, Mariagrazia Santagati docente di Sociologia dell’educazione dell’Università Cattolica. Brescia diventa allora un microcosmo per spiegare il tutto. Alla fine un’altra storia rispetto ai racconti sui migranti assai stereotipati a cui siamo abituati, dove Brescia diventa di volta in volta la città dove la comunità pakistana si divide davanti a terribili fatti di cronaca, o la città e la campagna dei bergamini di origine indiana che reggono le fila della produzione agricola o ancora la città dove i nordafricani sono solo quelli mal tollerati che bivaccano in stazione. In questo libro promosso dal Cirmib, il Centro Iniziative e Ricerche sulle Migrazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, sembra di sentire il dialetto di questa terra uscire prorompente dalle pagine scritte da Sole, Malik, Molly, Fatum, Alishba e da tutti gli altri ragazzi. Che alla fine rappresentano già il futuro di una generazione. Che poi è pure il nostro futuro. Anche se la strada che hanno percorso, come racconta Mariagrazia Santagati che ha curato il volume, è stata tutt’altro che facile: «L’analisi delle autobiografie ha permesso di ricostruire i percorsi inattesi di studenti di origine svantaggiata, nonché le strategie attraverso cui essi trasformano lo svantaggio socioeconomico e della migrazione in un vantaggio in campo educativo».
Fabio Poletti

Per gentile concessione dell’autore Mariagrazia Santagati e dell’editore Vita e Pensiero pubblichiamo un estratto del libro Autobiografie di una generazione Su.Per.

Copertina

Sole, nata in Marocco

Il mio nome è Sole, ho 19 anni e sono nata in Marocco nel 1997. All’età di sette anni io, mio fratello e mia mamma prendemmo un volo aereo diretto per l’Italia. Raggiungiamo così mio padre, il quale era già qui per lavoro. Perché ovviamente chi emigra, cerca sempre qualcosa, mio padre cercava un lavoro e io cercavo un futuro.
Io Sole, sono un’immigrata figlia di immigrati. Io ero una marocchina immigrata, ma ora non lo sono più perché ora sono italiana, il risultato dell’appartenenza a due culture diverse, un’italiana strana, con la pelle un po’ olivastra, i capelli ricci e gli occhi a mandorla che riflettono sia la sabbia del Sahara sia il mar Mediterraneo. Sono dovuta crescere combattendo fra quello che sono, quello che i miei mi dicevano di essere e quello che la società voleva che io fossi! Sapete non è facile crescere fra due culture, specialmente se sono una l’opposto dell’altra perché lo scontro con i genitori e con se stessi è sempre quasi inevitabile.
Torniamo indietro, torniamo alla prima volta; quella non si scorda mai. Ricordo ancora il primo giorno di scuola, mano nella mano con la maestra che salivamo le scale; io dentro tremavo, ero una bambina spaesata, insicura, curiosa, triste e felice. Ricordo addirittura il caos dei sentimenti dentro la mia testa. Finito di salire le scale, la maestra, come se avesse avvertito i miei timori, in qualche modo, mi presentò due bambine maroc- chine; come volesse dirmi: «Guarda, non avere paura anche tu ce la farai». E così fu. Le elementari furono come una passeggiata per me dal punto di vista educativo. Fui affiancata ad un mediatore linguistico che mi aiutò moltissimo. D’altro canto, non mi trovavo benissimo con i miei compagni di classe, forse perché ero diversa: loro non erano cattivi con me, alcuni erano davvero gentili, ma nessuno di loro era veramente mio amico, ero sempre quella diversa da loro, quella che viene dal Marocco e che parla un’altra lingua. Sono cresciuta dunque con il pensiero di essere diversa. Alle elementari ero la cocca della maestra di italiano, forse lei in questa diversità ci ha visto qualcosa di positivo… E oggi la voglio ringraziare e ricordare. Lei fu come una lanterna durante il mio percorso. Di lei ricordo gli occhi blu, i capelli color cenere, le cassette della Disney, il mio primo libro e il suo sorriso.
Per quanto riguarda le medie, non ho particolari ricordi, furono tempi piuttosto anonimi e per certi versi bui. Ero una ragazzina introversa che era brava a scuola; una ragazzina che a volte veniva presa in giro dai soliti tre bulletti della scuola, però non ero la loro preda preferita: forse perché, a mio modo, rispondevo e cercavo di farmi rispettare. Ricordo però di essere stata l’avvocato di tanti altri stranieri che, diversamente da me, non riuscivano a reagire. Le medie furono i tempi delle frasi come: «marocchina puzzona, brutta marocchina, perché non torni al tuo Paese?!?!, marocchina di m***a»… I tempi degli insulti, del razzismo, dell’ignoranza di tanti miei coetanei che, purtroppo, di cultura nulla sapevano. Tempi in cui imparai ad essere forte e a fare di questa diversità una difesa, perché se non reagisci, se non rispondi e se non ti fai sentire, la gente ti divora.
Alle medie ho imparato a darmi un valore e combattere l’ignoranza, la mia e degli altri. Io mi rifugiai nei miei studi, specialmente nella letteratura, nell’arte e nelle lingue straniere; tutto ciò che apportava cultura divenne un tesoro da custodire dentro la mia memoria. Leggere fu la mia salvezza. Passare le notti a piangere perché qualcuno mi insultava non serviva a nulla, era meglio sognare.
Passai l’esame di terza media con il massimo dei voti, ero sempre più fiera di me, dovevo solo scegliere quale percorso liceale intraprendere, scelsi quello linguistico ma a quanto pare non fu la scelta giusta, o semplicemente non era destino. Adolescenza, brufoli, cotte, sofferenze, amicizie, litigi con i genitori… un guaio dopo l’altro. Stendiamo un velo pietoso. Non ero più la ragazzina innocente e timida, divenni altro, divenni quella che sono oggi: me stessa. Venni bocciata al liceo e decisi addirittura di cambiare scuola e andare in quella dove c’erano i miei amici e chi ci pensava agli studi? Io no sicuramente… Eppure, fu la scelta sbagliata più giusta che io avessi mai fatto. Perché in questa scuola conobbi certi insegnanti che divennero fari di luce.
Adesso voglio trattare di questo posto che io chiamo casa, perché qui ho trovato me stessa. Lungo il mio cammino ho incontrato professori che non si sono limitati a fare il loro lavoro e basta ma sono andati davvero oltre, tra- smettendomi quel di più che mi serviva per far tesoro di tutto ciò che mi circonda. A differenza di me, i miei genitori non si sono integrati così tanto, come magari ho fatto io, ed è per questo che non ho particolari rapporti con loro, anzi, spesso litighiamo, perché lo scontro fra le mentalità è parecchio evidente. I legami con loro non sono mai stati buoni, non mi hanno mai sostenuta nelle mie scelte, perché secondo loro io sono troppo occidentalizzata e mi comporto in un modo che non è tipico della nostra cultura. Non avendo nessuno che credeva in me, ho dovuto credere in me stessa, da sola. Con il tempo, mi sono ritrovata a crescere da sola e ad auto-bastarmi, ma specialmente ad accettarmi. Sono marocchina o sono italiana? Ma perché non posso essere ambedue le cose? E di nuovo la scuola diventò il mio rifugio, il mattino mi svegliavo contenta perché uscivo di casa e andavo a scuola, un posto che credeva in me. Ho legato con tanti insegnanti, con alcuni ho sviluppato un rapporto quasi di parentela, ci scherzo, ci rido, ci litigo… insomma un rapporto di fiducia. Quello che mi mancava. Alcuni di loro me li porterò dentro sempre.
Sto pensando che tra un po’ tutto finirà… E penso che, alla fine, la scuola mi ha messo addosso un paio di ali e io ho imparato a spiccare il volo. I primi successi arrivarono a partire dalla terza superiore, quando iniziai a studiare sul serio e a prendere bei voti, voti che mi fecero ottenere la borsa di studio e che realizzazione! La paura di deludere i professori, quei professori che nella mia diversità avevano visto tanto altro, mi ha fatto sempre dare il meglio di me stessa. A volte mi chiedo come sarei stata, se non fossi volata qui in Italia … sarei la stessa di oggi? Sicuramente l’immigrazione ha avuto effetti sul mio modo di pensare, divenuto un pensiero occidentalizzato. A detta dei miei questa è una cosa negativa, ma per me non è così, per me è una cosa bellissima e nonostante ci siano tanti italiani che dicono ancora: «Torna nel tuo Paese», io voglio rispondere «No, io voglio restare qui. È questo il mio Paese». Io sono tanto attaccata al mio Paese di nascita, al Marocco, una terra non solo stupenda ma molto di più, piena di cultura, e di tanti bei posti, piena di gente, piena di amore, di piccole e grandi cose. Io mi reputo una marocchina a tutti gli effetti, anche se sono italiana. Io mi reputo italiana a tutti gli effetti, anche se sono marocchina. Io sono lo scontro fra le diversità culturali finito in una maniera serena e felice nonché grata di questa meraviglia.
Accettatemi, perché io con voi l’ho fatto. Accettiamo il diverso, perché è bello. Accettiamoci indipendentemente dal colore della pelle, dei capelli, degli occhi, indipendentemente dalla religione, dalla cultura o dalla terra di appartenenza. Il mare è uno e il cielo anche. La mia storia sarà uguale a quella di tanti altri, eppure penso che tutti noi siamo diversi, a modo nostro, una diversità però che è unica. Saremmo sempre tutti come un pesce fuor d’acqua e a volte ci sentiremo senza un posto nel mondo, ma io dico: abbia- te speranza, credete in Dio, credete in voi stessi e negli altri. Amatevi tanto quanto amate gli altri e amate gli altri tanto quanto amate voi stessi. Non bisogna dimenticare la storia, la nostra evoluzione e le nostre origini perché, in fondo in fondo, siamo tutti degli immigrati, chi da tanto e chi da poco.

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