Il 3 luglio sono trascorsi 25 anni da quando, a soli 49 anni, Alex Langer si è tolto la vita all’ombra di un albero di albicocche, a Firenze. Molte sono state le sue battaglie politiche e culturali per la pace, l’ambiente, i diritti umani, contro le manipolazioni genetiche, per le quali è ricordato. Ma vorrei soffermarmi sul dialogo interetnico, che nella sua esperienza è stato centrale.

Il padre era un medico viennese di origini ebraiche, la mamma una farmacista tirolese: nonostante le tensioni tra comunità linguistica tedesca e italiana, i genitori volevano che i figli frequentassero e conoscessero entrambe le lingue. A Bolzano, Langer frequentò l’asilo italiano, poi le medie ed il liceo classico in lingua tedesca dai Francescani, vivendo in un quartiere prevalentemente italiano.

Senza schieramenti

A 18 anni, insieme ad amici un gruppo di studio, fondò una rivista con ragazzi di lingua madre tedesca, italiana e ladina, Die Brücke, ‘il Ponte’. Si confrontavano tra loro cercando di superare gli stereotipi e sperimentando un ideale di convivenza. Questa esperienza lo segnerà profondamente e diventerà la base della sua azione pacifista. In una conferenza al Centro La Porta di Bergamo nel ’90 ricorderà:

Quando mi trovo di fronte ad un conflitto di natura etnica, mi metto per prima cosa a vedere se esiste qualche gruppo che riesca a riunire al proprio interno persone dell’uno e dell’altro schieramento… L’esperienza di un gruppo interetnico, o se volete del gruppo pilota che accetta di sperimentare su di sé le possibilità ed i limiti, i problemi della convivenza interetnica, per me rimane una cosa assolutamente determinante.

Non a caso, nel 1981 e nel 1991, Langer si rifiutò di dichiarare la propria appartenenza (italiana o tedesca) al censimento etnico.

L’Europa muore

Tutta la sua vita si può dire che sia stata rivolta a costruire ponti per superare le conflittualità.

Nel maggio 1995, si è candidato a sindaco a Bolzano (dal 1989 era parlamentare europeo per i Verdi), ma la candidatura venne respinta proprio per il suo rifiuto di dichiarare una appartenenza etnica nel censimento. Disperato per il genocidio etnico in corso in Bosnia (che avrebbe causato, in pochi giorni, una strage di 8mila musulmani bosniaci a Srebrenica, in una zona dichiarata neutra e sotto la protezione delle truppe Onu) il 26 giugno scrisse il suo ultimo articolo L’Europa muore o rinasce a Sarajevo.

In uno dei biglietti lasciati agli amici per scusarsi del suicidio aveva citato il verso evangelico ‘Venite a me voi che siete stanchi e oberati’.

Post Scriptum

Un piccolo ricordo personale. Nel 1987 si era aperta la possibilità che, come Verdi, si entrasse nel governo di Milano, ribaltando il pentapartito e formando la prima giunta rosso-verde (maggioranza di 41 su 80, con noi due consiglieri verdi determinanti). Il dibattito era acceso. Era giusto? Era prematuro? Risolse Langer con una metafora: «Pier Vito deve essere come Giuditta nel campo di Oloferne, sapere di essere in un campo nemico e che forse dovrà tagliare qualche testa…». A dicembre ’87 facemmo la giunta. Nel luglio ’88 nacque il mio primo figlio: se fosse stata femmina, si sarebbe chiamata Giuditta.