Quando un politico, di centrodestra ma non solo come si è visto in Italia e altrove, chiude le frontiere ai migranti si dice che “gioca sulla loro pelle”. Ma come chiamare quei Grandi della Terra o gli improbabili protagonisti dei reality che giocano a fare i migranti, sino ad indossare un giubbotto salvagente, o meglio salvaniente, visto che non andranno mai né a fondo né fino in fondo al loro “divertente” passatempo?
Per immedesimarsi ci vuole molto. Ma niente è lontanamente simile a quello che provano i migranti che si sobbarcano viaggi di mesi o di anni pur di arrivare in Europa. Anche i loro peggiori racconti, carcere e torture in Libia, naufragi o omicidi degli scafisti che si sbarazzano di chi è di troppo sul malandato barcone, sono inimmaginabili da chi vive nel Nord del mondo. Perché non sa davvero cosa sia la paura né quali siano le sofferenze provate da chi lascia la guerra o la miseria del proprio Paese rischiando la morte. 

Eppure “giochiamo ai migranti” è diventato l’ultimo passatempo con brivido. Al World Economic Forum di Davos a gennaio, si poteva provare l’emozione di trascorrere “Un giorno nella vita di un rifugiato”. Tutto ovviamente compresso in 75 minuti, per non far perdere troppo tempo ai Grandi della Terra e immaginiamo per evitargli troppe sofferenze.

Il gioco era organizzato dalla Fondazione Crossroads con sede a Hong Kong che pubblica l’iniziativa su un apposito sito www.refugee-run.org . Chi c’era racconta di banchieri, imprenditori, top manager delle più importanti aziende del mondo che si inginocchiano davanti agli scafisti e agli schiavisti impersonati da figuranti. Per poi sottostare alla trafila che ogni sbarcato in un porto italiano o arrivato fino alla frontiera dell’Est Europa conosce bene per averla provata per mesi e a volte anni.

Ci si mette in fila per entrare nelle gabbie dove si viene rinchiusi, si sottostà ad ordini brutali, si fanno i turni per avere un po’ d’acqua o un posto al centro di soccorso. Fino all’esperienza di acquistare beni di prima necessità al mercato nero. Per “scoprire la corruzione”, dicono gli organizzatori del gioco con involontario sarcasmo vista la platea dei giocatori. Dopo 75 minuti è tutto finito e i partecipanti al WEF di Davos hanno potuto tornare a discutere dei destini del mondo e di come migliorarlo. Il loro mondo.

Se il gioco è ritenuto troppo breve e si vogliono emozioni forti ci si può sempre iscrivere a “Torna da dove sei venuto”, un reality girato in un campo profughi dalla tv australiana. Lì di voglia di sensibilizzare ce ne dev’essere molto poca, visto che l’Australia è uno dei Paesi al mondo con le politiche più restrittive sui migranti con il programma “No way”, che vieta l’ingresso a chiunque non abbia i titoli per farlo. Oppure si può cercare di partecipare alla versione polacca del format australiano. Andato in onda in 4 puntate in autunno sulla rete privata TVN prometteva di far rivivere ai concorrenti “le stesse esperienze vissute da persone che fino ad ora avevano visto solo in televisione”. Il programma è un road show itinerante che, in tutta sicurezza ovviamente, ha percorso la rotta dal Kurdistan all’Austria passando per la Grecia, evitando naturalmente la Libia e le altre zone più pericolose dove si concentra la maggioranza dei migranti e dei richiedenti asilo.

Le principali ong e i centri di aiuto ai migranti polacchi si sono rifiutati di partecipare alla messinscena televisiva e hanno aspramente criticato il programma andato in onda sulla rete privata più seguita nel Paese. Uno dei più critici al programma, il membro di una ong, Jaroslaw Kociszewski, ha sostenuto che il reality non ha alcun valore educativo né fa conoscere meglio la realtà dei migranti. Le sue sono parole di indignato buon senso: «È un’idea malata. I partecipanti vivranno come i rifugiati per un mese? Si feriranno cercando di attraversare frontiere con il filo spinato? Verranno torturati e le donne violentate dai trafficanti? Annegheranno nel mare affrontato con barconi malandati? Questo è solo un modo per fare tanti soldi sfruttando la sofferenza reale dei migranti».