Bodyguard è la serie tv della BBC che racconta, tra complotti politici e terrorismo islamico, le vicende del segretario di Stato all’Interno (Julia Montague, interpretata da Keeley Hawes) e della sua guardia del corpo (Richard Madden nei panni del sergente David Budd, panni che domenica gli sono valsi un Golden Globe). Nel racconto compare un personaggio, Tahir Mahmood, interpretato da Shubham Saraf, consigliere del segretario di Stato per la comunicazione. In una scena, il suo capo, il consigliere speciale Rob Macdonald (interpretato da Paul Ready), gli chiede di apparire in un’occasione pubblica al fianco del segretario di Stato impegnato a lanciare una dura politica antiterrorismo. In quel frangente, Macdonald fa capire chiaramente a Mahmood che la sua presenza è dovuta non alle sue competenze più quanto a ragioni di immagine, per indorare la pillola della Ripa-18, le nuove linee per la sorveglianza, presso le minoranze musulmane del Regno Unito.
Nel Regno Unito ci si è divertiti molto a giocare attorno ai parallelismi tra la serie tv e la realtà, anche soltanto perché Montague e May, all’Home Office dal 2010 al 2016 prima di diventare premier, hanno in comune l’essere donne con un certo carattere. Ma si è anche speculato sulla figurina Mahmood e l’attuale segretario di Stato all’Interno, Sajid Javid, arrivato all’Home Office a maggio dopo lo scandalo Windrush. A pagare allora per gli errori del ministero dell’Interno nella gestione dei documenti di migliaia di immigrati caraibici, che proprio a causa dello smarrimento di quei registri sono stati espulsi dal Regno Unito, era stato il numero uno di quel dipartimento, Amber Rudd, una protetta di Theresa May (oggi, dopo un nuovo rimpasto di governo, è al Lavoro). Con la power pose simbolo dei conservatori era entrato all’Home Office Sajid Javid, quarantanovenne di origini pachistane, figlio di un autista di pullman immigrato nel Regno Unito nel 1961, quando atterrò a Heathrow con soltanto una sterlina in tasca. È diventato il primo Bame (black, Asian and minority ethnic) in uno dei quattro Great Offices of State, le quattro cariche più importanti del Paese – cioè premier, cancelliere, segretario di Stato all’Interno e segretario di Stato agli Esteri. Liberale e liberista convinto, europeista tiepido, ha sostenuto la causa del Remain nel referendum del 2016. Come fece la May. E allo stesso modo si è convertito alla causa della Brexit impegnandosi a far rispettare la decisione popolare del 23 giugno 2016. Ma è uno dei pochi tratti in comune tra i due. Lui è liberale classico con il ritratto di Margaret Thatcher nel suo studio (oltre a essere un protetto di George Osborne, l’ex cancelliere liberale ed europeista di David Cameron che, da direttore dell’Evening Standard, ha firmato editoriali durissimi contro il premier), lei è a favore dell’intervento statale nell’economia.
In una delle prime dichiarazioni dopo la nomina, Javid ha fatto riferimento allo scandalo Windrush: «Uno dei miei principali obiettivi sarà quello di avere una politica dell’immigrazione equa, che tratti la gente con rispetto e con decenza». Lui è favore di quelli che vengono chiamati confini duri ma intende cancellare dal suo vocabolario la definizione “ambiente ostile”, quello che Theresa May promise dall’Interno contro l’immigrazione clandestina. Perché, come ha scritto lui stesso la domenica prima della nomina sul Telegraph, il caso Windrush avrebbe potuto colpire lui o la sua famiglia.
A maggio, quella nomina dimostrava sia la presa di coscienza della gravità della situazione da parte della May, sia le debolezze del premier. Non ha potuto ripetere una scelta come quella di Rudd: nessuno avrebbe mai accettato di continuare sulla scia dell’operato May all’Home Office, né tantomeno il premier aveva la forza politica di chiedere un atto di così cieca fedeltà a uno dei suoi. Javid era la scelta perfetta anche per lei: serviva cambiare e un politico a lei così lontano avrebbe potuto rivelarsi la scelta più azzeccata.
Javid ha interrotto le sue vacanze in Sudafrica per tornare in patria e affrontare un'”emergenza”, come l’ha definita lui: l’aumento degli sbarchi di migranti sulle coste britanniche della Manica. Presto il grido “emergenza” è stato smontato a suon di dati: basti pensare che i migranti arrivati nel Regno Unito su gommoni rappresentano soltanto lo 0,57% del totale delle domande di asilo. Ma è bastato un minimo di attività da parte sua, secondo diversi osservatori il favorito alla successione di Theresa May, a scatenare il tam-tam. Risultato: una settimana in cui le pagine politiche dei principali giornali britannici erano dedicate a Javid e alle politiche del ministro dell’Interno. Addirittura, qualche suo rivale interno l’ha descritto così convinto e assetato di potere da parlare di sé riferendosi a “The Sajid” (cosa che l’interessato ha negato).
I leak lo confermano: nel Partito conservatore molti lo stimano, ma altrettanti hanno paura di una sua corsa per la leadership, ben sapendo che partirebbe favorito. Certo, raramente tra i Tories ha vinto il favorito ma intanto, da figurina per coprire lo scandalo Windrush, Javid è in pole position per raccogliere l’eredità di Theresa May, che martedì 15 gennaio ai Comuni sosterrà la sua prova più difficile, il voto sul suo accordo per la Brexit.