Emmanuel Mbolela
Rifugiato. Un’odissea africana
2018, Agenzia X editore
Emmanuel Mbolela è nato nel 1973 nella Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire. Nel 2002, perseguitato per ragioni politiche sin da quando era studente, ha dovuto lasciare il suo Paese diventando un profugo. Uno dei tanti che attraversano mari e monti per raggiungere l’Europa. Il suo viaggio è durato sei anni, prima di ottenere lo status di rifugiato. In questo libro, tradotto con successo in Germania e in Francia, questo attivista che ha fondato l’Associazione dei rifugiati congolesi in Marocco Aircom, non racconta solo le angherie e le violenze subite. Il suo è anche un manifesto politico. Uno straordinario j’accuse contro i veri responsabili dell’odissea senza fine di milioni di africani: “C’è una sola verità: l’immigrazione è la conseguenza dei programmi del Fondo Monetario Internazionale e del saccheggio delle risorse da parte delle multinazionali. Non prendetevela con noi e puntate il dito sui veri responsabili”.
Fabio Poletti
Per gentile concessione dell’autore e della casa editrice Agenzia X pubblichiamo l’introduzione all’edizione italiana
Nel giugno del 2014 il mio libro è stato pubblicato per la prima volta in tedesco e nel gennaio del 2016 in francese. Le conferenze nei diversi paesi d’Europa in cui l’ho presentato mi hanno permesso di incontrare molte persone che non sono rimaste insensibili alla causa che difendo e che all’inizio è stata solo la mia, ma che poi è diventata quella di tante altre perso- ne costrette, come me, a lasciare i loro paesi per varie ragioni. Molti tra coloro che hanno ascoltato le mie conferenze o letto Rifugiato, si sono impegnati a sostenere questa causa che è quella degli esseri umani ai quali è stata rifiutata l’umanità.
La loro unica colpa è di essersi incamminati verso l’Europa. Uomini, donne e bambini che vengono lasciati morire nel Mediterraneo anche se si hanno tutti i mezzi necessari per salvarli.
Le persone e le organizzazioni solidali che cercano di dare un aiuto sono perseguitate e condannate, quando in realtà stanno compiendo il loro dovere d’assistenza in presenza di esseri umani che ri- schiano la morte. I viaggiatori, sopravvissuti al terribile percorso del deserto, si trovano bloccati in alcuni paesi del Nordafrica, dove subiscono un trattamento umiliante e inumano. Il recente reportage sulla tratta dei migranti in Libia, diffuso dal canale televisivo americano Cnn, ha rivelato al mondo la sorte riservata alle persone che migrano. Ora gli europei al potere fanno finta di esserne sorpresi, sebbene sia la conseguenza delle inconcludenti politiche che mettono in atto. Le loro collaborazioni con le milizie libiche per il controllo delle frontiere e delle vittime favoriscono invece le persecuzioni. La rabbia provocata da quelle orribili immagini non sembra aver suscitato l’indignazione che ci si aspettava. Pertanto questa odiosa pratica, che ci ricorda quella subita dai nostri nonni e bisnonni, esiste con la complicità degli stati membri dell’Unione europea, malgrado essi si dichiarino garanti della protezione dei diritti umani.
L’Italia, paese vicino alla Libia, può osservare quotidianamente la lotta per la sopravvivenza di migliaia e migliaia di persone che combattono per la propria dignità. Per questo motivo si incamminano verso il deserto, il mare e l’oceano come facevano gli europei qualche decennio fa. La necessità dà coraggio, partiamo perché non abbiamo alternativa.
Come diceva una signora con la quale ho parlato nel nostro centro di accoglienza per le donne: “Nel mio paese, dopo gli studi, mi sono sposata, ho avuto dei figli e, improvvisamente, io e mio marito abbiamo perso il lavoro. Non riuscivo neanche a comprare un pezzo di pane per i miei piccoli. Per questo ho deciso di partire. Li ho lasciati a mia madre dicendo che andavo alla ricerca della loro dignità. Non sono morta nel deserto ma potrebbe succedere nel mare, almeno i miei figli sapranno che ho lottato fino alla fine. Se riesco ad attraversare il mare e arrivare in Europa, lavorerò sodo per loro. La cosa peggiore per me sarebbe quella di ritornare nel mio paese e guardarli in faccia. Non sopporterei di vederli soffrire”.
L’Europa, verso la quale ci dirigiamo per tentare di sopravvivere, si fortifica. Le frontiere sono ermeticamente chiuse. Si costruiscono muri da est a ovest e da nord a sud. Alcuni accordi stanno per essere imposti a diversi paesi africani per controllare le proprie frontiere, contro quella che chiamano l’immigrazione clandestina. Questi muri si erigono sempre di più all’interno dell’Africa, al punto che un giorno ci sveglieremo senza trovare più il sentiero per andare dal vicino.
Per proteggere i suoi confini, l’Europa ci lascia morire nel Mediterraneo, con il pretesto che la nostra salvezza causerebbe un flusso d’arrivi esponenziale. Chi non ce la fa non ha né nomi né origini. Tutti vengono chiamati clandestini. A lungo lasciati in pasto ai pesci, oggi sono abbandonati nelle mani della milizia libica, ormai senza fede né legge. Le loro vite non hanno alcun valore e le loro morti non provocano nessuna emozione.
Il Mediterraneo è diventato la fossa comune per migliaia di migranti e la Libia il mercato degli schiavi del XXI secolo! Tutto ciò non accade, come nel deserto, lontano dalle telecamere dei canali televisivi e dai giornalisti, anche se tutti ne sono al corrente. I corpi ritrovati sono inumati senza che alcuna indagine venga svolta per ritrovare le famiglie e avvertirle. Per salvare la faccia ci si commuove, ma in realtà nessuno sforzo è compiuto per liberare le persone in ostaggio dalla milizia libica. È degno di nota il silenzio complice dei potenti africani quanto di quelli europei. Assistiamo senza reagire alla cooperazione tra i paesi europei e la criminalità, finanziata per rinchiudere e infliggere un trattamento crudele e inumano ai migranti.
Io sono una di queste persone. In cammino verso l’Europa, come tanti altri migranti, sono stato derubato dai banditi nel deserto, ho dovuto lavorare in nero a Tamanrasset in Algeria, nascondermi per mesi ad Algeri, per poi passare clandestinamente la frontiera con il Marocco, dove sono rimasto bloccato per quattro lunghi anni. Insieme ad altri compagni abbiamo lottato per i nostri diritti.
Ho scritto questo libro per raccontare la nostra storia.