Sono andate esaurite in un solo giorno tutte e 34 le opere di design – prototipi, disegni, fotografie per un valore di “cassa” di 30 mila euro – messe all’asta da De Lucchi, Lissoni, Iacchetti e altri designer per finanziare l’attività di NoWalls (senza muri), l’associazione milanese nata quattro anni fa per dare supporto concreto ai richiedenti asilo giunti in Italia. Un supporto che parte dai corsi d’italiano per chi si trova per la prima volta in un Paese straniero senza parlare inglese o francese né conoscere spesso l’alfabeto latino, perché proviene dal Bangladesh o dall’Africa subsahariana o perché analfabeta. Una lacuna pesante, perché i rudimenti della lingua italiana sono indispensabili per superare la prova di ammissione ai corsi A1 dei CPIA (Centri provinciali per l’istruzione dell’adulto) e, soprattutto, dimostrare la propria volontà di integrarsi alla Commissione Territoriale che dovrà esaminare la sua richiesta. Un percorso complicato, se si considera che anche l’esame di terza media acquisto nel Paese d’origine deve spesso essere ridato in Italia, con il corollario di storia patria e grida manzoniane.
«Il mio primo contatto con i migranti è stato quattro anni fa, sulla pensilina della Stazione Centrale di Milano. In quel periodo in città arrivavano ogni giorno treni carichi di migranti appena sbarcati e io aiutavo come volontaria nello smistamento degli abiti» ricorda Angela Marchisio, presidente di NoWalls.
Quell’esperienza credo mi abbia cambiato. In quel clima di urgenza, dove niente sembrava mai abbastanza, in parecchi ci siamo chiesti cosa potessimo fare: l’idea dei corsi e di NoWalls è venuta constatando che l’impossibilità di comunicare era la prima barriera da abbattere.
«Ci siamo rivolti al Cas (Centro di Accoglienza Straordinario) di via Corelli e in due mesi hanno raccolto la sfida una trentina di “insegnanti”: impiegati, medici, avvocati, gente di ogni età. Oggi siamo 135, abbiamo dai 20 ai 75 anni. Ma in un contesto cambiato».
Che risposta incontra oggi una proposta come la vostra da chi arriva in Italia su un barcone?
«In generale imparare l’italiano fa parte di un percorso di sofferenza del migrante. Dopo tutto quello che ha passato, ha appena il tempo di trovare una branda che già sente la pressione della famiglia e le richieste da casa, dove ovviamente non capiscono la situazione. Partecipare ai nostri corsi credo sia una scelta dolorosa per molti, perché in qualche modo apre una nuova fase della loro vita e chiude la precedente. È, simbolicamente, il primo passo tra un prima e da un dopo».
La chiusura del Cas di via Corelli (che a seguito del decreto sicurezza dovrebbe diventare un centro di permanenza per i rimpatri, ndr) cosa ha comportato, per voi?
«Abbiamo lavorato con la struttura di via Corelli per 18 mesi, erogando circa 4 mila ore di lezione. Con la chiusura del Cas abbiamo dovuto guardare al territorio, in particolare alle biblioteche di zona, in grado di ospitare i corsi: attualmente abbiamo 5 di queste sedi a Milano. Questo ha cambiato anche il profilo della nostra utenza: non più solo richiedenti asilo ma anche lavoratori, immigrati arrivati anni fa che ora hanno il tempo per imparare a scrivere in italiano. Anche grazie a loro, che spesso arrivano attraverso le strutture di quartiere e le biblioteche stesse, abbiamo ora un corso propedeutico alla licenza media e facciamo da tramite con chi invece offre altri corsi, ad esempio quelli di sartoria».
Lavorate anche con i più piccoli?
«Con una scuola milanese stiamo sperimentando un modulo per i cosiddetti “ricongiunti”, ragazzini arrivati in Italia a 5 o a 10 anni con la mamma, senza conoscere una parola d’italiano. Le scuole sono anche un importante punto di contatto con le donne migranti, in alcune comunità forse anche l’unico, così in una scuola abbiamo inaugurato un corso d’italiano per mamme».
Che difficoltà hai incontrato creando da zero un’associazione di volontariato?
«Fino a quel momento mi ero occupata di ristoranti e discoteche, di volontariato non sapevo nulla o quasi. Uno dei principali problemi è stato strutturare l’entusiasmo iniziale, chiedevamo la disponibilità per una sera o un pomeriggio la settimana, gli insegnanti in classe lavorano in coppia. Abbiamo due corsi, uno base e uno, per così dire, “avanzato”, di 4 mesi ciascuno, che al momento sono riconosciuti, quindi non siamo in grado di fornire a chi li segue alcun “pezzo di carta” che abbia valore legale. Questo è un punto su cui voglio lavorare nei prossimi mesi».
Quali altri obiettivi avete?
«L’altro tema è alzare la qualità e il metodo della formazione, in altre parole formare i formatori. E poi naturalmente i soldi, forse il grande tema del volontariato. Dopo quattro anni oggi possiamo finalmente pagare una persona per fare raccolta fondi e un’altra per la formazione degli insegnanti».
Progetti per il presente?
«Da quasi un anno, grazie anche all’entusiasmo e alla determinazione di Claudio Ceriani abbiamo una vera squadra di calcio, la NoWalls, formata da studenti di 14 nazionalità, che ha già partecipato ad un paio di tornei dilettanti. Un altro progetto si chiama invece Turisti senza muri: organizziamo visite guidate per i nostri studenti presso Bicocca, Triennale e altre istituzioni della cultura milanese».