Meron Benti, 23 anni, etiope, albina, ha vissuto 11 anni in Italia, da 6 vive a Middlebury nel Vermont, Usa, dove si sta laureando in Antropologia: «A volte mi scambiano per norvegese. So di avere sempre gli occhi addosso. Ma la cosa che mi dà più fastidio non è essere presa in giro per il colore dei miei capelli ma perché sono africana. A scuola in Italia i miei compagni di classe mi chiamavano “negretta” ma era amichevole, non mi dava fastidio più di tanto». Il regista e videomaker Fred Kuwornu ha incluso la sua storia nella docu-serie “Blaq Italiano Vol. 1“.
Partiamo dall’inizio. Quando ha lasciato l’Etiopia?
«Avevo 6 anni. I medici dicevano che in Etiopia non sarei stata curata in modo adeguato. In Italia c’era già mio fratello grande che lavorava come falegname a Monte San Savino, vicino ad Arezzo. E così sono partita anch’io con mia sorella che aveva 20 anni allora».
Nata albina in Africa…
Uno shock. I miei famigliari non sapevano nemmeno cosa fosse l’albinismo. Dicevamo che mia madre aveva avuto una relazione con un bianco. Sono stati i medici a spiegare la situazione. I miei vicini di casa mi chiamavano “straniera” in amarico. Io cercavo di uscire il meno possibile di casa.
«A scuola non capivano chi fossi. Però non ho memoria di situazioni particolarmente pesanti. Ero troppo piccola. Sono cose che mi hanno raccontato i miei fratelli. Non pensavo di essere diversa».
Ci sono Paesi africani dove gli albini rischiano la vita… Un motivo in più per andarsene?
«È vero. Ci sono ancora pratiche tribali. Per fortuna non in Etiopia. In Malawi e in Tanzania noi albini veniamo ancora uccisi, è successo anche poco tempo fa, perché si pensa che alcune parti del nostro corpo servano per preparati magici. Ma io ho lasciato l’Etiopia per motivi di salute. L’albinismo è accompagnato da alcune complicazioni accessorie difficilmente affrontabili nel mio Paese. Avevo bisogno di occhiali da vista. Di particolari creme di protezione per la pelle».
Così sull’onda di suo fratello arriva in Italia. Una piccola bambina con passaporto etiope e la pelle bianchissima.
«Cosa che genera sempre moti di sorpresa. Mi guardano un po’ strano. Ho ancora il passaporto etiope. Non ho fatto in tempo a chiedere la cittadinanza italiana. Avevo un permesso di soggiorno medico».
Africana, bianca a Monte San Savino… Veniva presa di mira? Perché era albina o straniera?
Non ho mai avuto percezione di essere bullizzata. L’ho capito dopo. Avevo dei compagni di classe un po’ cattivi. Mi prendevano in giro soprattutto perché venivo dall’Africa. Anche al liceo, mi chiamavano “negretta” in modo amichevole. Non mi infastidiva più di tanto.
Episodi veri di razzismo ne ha mai subiti?
«Mia sorella ha la pelle nera. Un giorno eravamo a Roma in autobus, non avevamo timbrato il biglietto perché non riuscivamo ad arrivare alla macchinetta tanto era pieno. Quando è arrivato il controllore l’autista gli ha spiegato la situazione e allora non ci hanno fatto la multa. A quel punto una signora ha iniziato a gridare che noi non pagavamo il biglietto, che non ci facevano nemmeno la multa… Ce l’aveva di sicuro con mia sorella. Io passo per norvegese. Al massimo mi fissano un po’».
Perché ha scelto di vivere negli Stati Uniti?
«Alla televisione in Italia vedevo solo film e show americani. Era il mio sogno. Quando sei una ragazzina pensi solo alle cose che vedi alla televisione. Così ho seguito mio fratello più grande che vive ancora ad Oakland, è un autista di limousine».
Poi è finita nel Vermont.
«Sì all’Università di Middlebury. Mi laureo tra pochi giorni in Antropologia culturale».
Lei ha vissuto 11 anni in Italia e da 6 vive negli Stati Uniti. Che differenze ci sono per un’africana?
«Gli Usa sono un Paese molto grande. Tra la California e Italia ci sono tantissime differenze. Ad Oakland c’è una grande comunità etiope. Mio fratello vive in un complesso con 200 appartamenti abitati in maggioranza da etiopi. Si sentono i profumi della nostra cucina. Si passano le feste insieme. Sembra di essere in Etiopia».
Con l’insediamento di Donald Trump è cambiata la situazione?
«Non si può generalizzare. Ogni stato è diverso. Le due coste degli Usa sono più liberali. C’è una mentalità molto aperta verso gli immigrati».
E in Vermont, in università?
«Ci sono studenti da tutto il Paese. C’è una mentalità molto aperta».
Lei non ha ancora la cittadinanza americana?
«La sto aspettando. Ce l’ha mio fratello. Io ho un permesso di soggiorno per motivi di cura».
Se un giorno dovesse avere un figlio avrà sicuramente la pelle scura anche se portatore del gene dell’albinismo. La impensierisce?
«Quando avrò dei bambini saranno adottati quindi non so quale sarà il colore della loro pelle. Penso non ci saranno troppe discriminazioni. Dipende da dove vivrò, ma penso sarà da qualche parte abbastanza liberale e multiculturale».
Alla fine si sente più etiope, italiana o americana?
«Non è facile rispondere. Non mi sento italiana, non l’ho mai pensato. Americana non lo sono ancora. Sono qui da troppo poco tempo. È più facile dire che sono etiope. La mia famiglia viene da lì. Io sono nata lì».
È dovuta andare via dall’Etiopia a 6 anni perché come albina non c’erano cure adeguate e la gente la guardava strana… Eppure dice di essere fiera di sentirsi etiope. Come fa?
Quando ero in Italia non ero neanche troppo legata all’Etiopia, devo dire che mi sono sentita più etiope una volta arrivata in America. Frequentando i miei connazionali mi è sembrato che dichiararmi etiope fosse la cosa più facile.
«Con mio fratello, con mia sorella e con i miei amici parliamo sempre in amarico. Ci tengo alla mia cultura e alle mie tradizioni. Ad Oakland ci sono tanti etiopi. Mi è servito per rafforzare la mia identità. La maggioranza dei miei amici sono africani. Qui a Middlebury vivo in un complesso che chiamiamo Casa Africa. Mi fa bene, mi sento a casa».
Ci torna in Etiopia?
«È da 10 anni che non ci vado. Adesso con la richiesta del passaporto americano non posso uscire dagli Usa. In Etiopia ci sono ancora mia madre, mio padre, tanti fratelli. Ci sentiamo ogni tanto, sotto le feste, ma oramai non li conosco più tanto bene».
Dove lo vede il suo futuro?
«Qui negli Stati Uniti ma mi piace molto viaggiare. Sono stata sei mesi in Francia. Vorrei tornare a vedere l’Italia. Alla fine sono una cittadina del mondo».
E l’Etiopia?
«Mi piacerebbe tornare a visitarla ma non ci potrei vivere. Per le condizioni in cui si trova il Paese. Perché alla fine sarei sempre considerata una bianca. E per me sarebbe troppo difficile stare in un Paese con così tanto sole».