È un rito usuale, purtroppo, quello di gonfiare i numeri e annunciare emergenze migranti. Anche nella Libia dilaniata dalla guerra che preme sul Governo. Lo faceva anche il colonnello Muammar Gheddafi per ottenere finanziamenti e infrastrutture dall’Italia, ma lui controllava tutte le milizie e poteva permetterselo. Ora, annunciare che ci siano 800 mila tra libici, migranti (e molti terroristi) pronti a invadere l’Italia e l’Europa, come ha fatto Fayez Serraj, presidente del governo di unità di Tripoli, è un ricatto poco credibile, considerata la sua debole influenza sulle milizie.
«Fidiamoci delle stime dell’Oim, che calcola ci siano 200 mila migranti in Libia», spiega Matteo Villa del Migration Programme and Europe and Global Governance dell’Ispi. «Non credo che la maggiore destabilizzazione in Libia inneschi le partenze, anzi. Le milizie che lucrano sul traffico di esseri umani operano, indipendentemente dai conflitti. Al contrario, i dati dimostrano che riescono a far partire le persone quando c’è maggior stabilità». Matteo Villa è convinto che il traffico di esseri umani sia solo un’esca.
Il traffico di migranti genera introiti anche considerevoli per comunità locali, ma non è un grande “business”. Sicuro non in Libia. Viene comunemente considerato una attività “esca”: frutta poco, ma sposta attenzione politica, permettendo traffici ben più redditizi.
E come dimostra il grafico, l’instabilità non favorisce le partenze.
In Libia i migranti in maggioranza subshariani, di cui circa 6000 nei centri di detenzione ufficiali, non sono più una fonte di lucro. Stremati, venduti e rivenduti alle bande. Obbligati ai lavori forzati, abusati sessualmente, ricattati all’infinto, non rappresentano più “merce” valida. Come ha dimostrato un episodio accaduto durante l’offensiva del generale Khalifa Haftar. Aperto un centro di detenzione, liberati i migranti, molti sono rimasti dentro, terrorizzati. «Non sapevano dove andare, smarriti, disorientati, senza un progetto migratorio», osserva ancora Villa.
Insomma è ora di finirla con le boutade per alterare la percezione, oltre che per ricattare i governi. Anche sugli sfollati interni libici, che sarebbero pronti a venire in Italia. Secondo Michela Mercuri, docente esperta di Libia e scrittrice, gli sfollati libici cercano di fuggire verso la Tunisia. E quasi sempre per restarci. «I libici non vengono in Italia su barconi», spiega Michela Mercuri, «tranne per alcune eccezioni. In Tunisia hanno amici, conoscenti, familiari, soci in affari. A meno che la Tunisia chiuda le frontiere per timore di trovarsi coi profughi anche jihadisti, come sta facendo. E se ci sarà una guerra a bassa intensità, è più logico pensare che fuggano da Tripoli verso Sud o, come ho già detto, in Tunisia per aspettare che la situazione si stabilizzi, anche se relativamente». Quindi per ora l’invasione è quella delle parole che si gonfiano a dismisura sui social e sui giornali.