Come si chiama e quanti anni ha?
«Andrea Franceschini e ho 39 anni».
Si descriva in tre aggettivi.
«Sono ottimista, intraprendente e determinato».
Descriva il suo lavoro, in una frase.
«Quello di cui mi occupo è diffondere il messaggio dell’integrazione attraverso la radio di cui sono Ceo, Radio Italia Cina».
Dove ha vissuto negli ultimi 10 anni?
«Ho sempre vissuto a Prato, una città multiculturale dove da molti anni è presente una delle comunità cinesi più grande d’Europa».
Dove sta trascorrendo la quarantena?
«Sto trascorrendo la quarantena a casa, lavorando soprattutto in modalità smart working».
Il Covid-19 ha fermato le aziende, ma non le menti: a quali progetti sta lavorando?
«Noi, essendo nel settore radiotelevisivo, non ci siamo mai fermati, anche durante la quarantena abbiamo continuato a lavorare per diffondere quotidianamente i nostri contenuti».
Allo specchio: quali sono i tre obiettivi che vuole raggiungere entro l’anno, nonostante il virus?
«Diciamo che non ho tre obiettivi, nonostante il virus il mio impegno costante è far crescere l’ascolto della radio e sensibilizzare chi ascolta Radio Italia Cina su temi come integrazione e solidarietà».
Questione di simboli: qual è l’immagine della ripartenza della sua attività, per lei?
«Non essendomi mai fermato, per me non esistono ripartenze, però il simbolo del mio lavoro è senza dubbio il microfono, lo strumento che mi permette di raggiungere le persone in qualunque parte del mondo».
Il mondo post-Coronavirus: qual è l’abitudine che, nel bene o nel male, dovremo dimenticare?
«Per un po’ di tempo saremo costretti a stare ancora distanti per problemi di contagio, quindi fisicamente lontani dagli amici più cari, forse è proprio questa la cosa che più mi manca e continuerà a mancare».
Parliamo di NRW: qual è la storia che l’ha colpita di più?
«Sicuramente negli ultimi tempi mi ha colpito la storia del trombettista Raffaele Kohler, il suo pezzo “Serate Vulnerabili” ha un messaggio che mi ha fatto riflettere sulle nostre fragilità e sull’importanza di non perdere mai la speranza».