L’ombelico del mondo multietnico è a Buccinasco, appena dopo le tangenziali che circondano Milano. Lì dove sorge la MICROingranaggi, meccanica di precisione, nata negli anni Settanta come azienda famigliare artigiana, oggi 7 milioni di fatturato, una delle tante realtà dell’A.P.I. l’Associazione delle Piccole Imprese, uno dei tanti piccoli miracoli del made in Italy. Dentro al cubo di cemento e vetri a specchio lavorano in 30, italiani, croati, venezuelani, peruviani, più una decina di addetti forniti dalle cooperative, soprattutto sudamericani. Il melting pot sociale che fuori di qui ogni tanto sembra un vulcano sul punto di esplodere. Ma qui no, si lavora a stretto contatto, e alla fine capirsi nelle tante lingue diventa una marcia in più. Antonella Silvagni, cotitolare, responsabile amministrativa e delle risorse umane, quasi si stupisce dello stupore:

Il futuro è multietnico, basta guardarsi in giro. Se ci sono problemi, sono fuori di qui. Quando abbiamo assunto qualche dipendente e si è trasferito qui vicino, ha fatto fatica a trovare casa solo perché era straniero. Ci siamo offerti anche di intervenire, ma poi per fortuna non ce n’è stato bisogno. Noi guardiamo alle capacità e al merito. I primi stranieri li abbiamo assunti quasi 15 anni fa. Hanno le stesse conoscenze tecniche degli italiani, sanno più lingue, hanno voglia di crescere e di costruirsi un futuro.


video di Alice Soragna

«Ma tutto il rischio è a carico delle imprese. Integrazione è una parola che si usa molto, ma non ci sono agevolazioni se assumi uno straniero. Ci vogliono anni per formare un buon tecnico. Più dei 36 mesi delle agevolazioni fiscali previste. Ma noi ci crediamo. E tra i profili più alti in azienda abbiamo un ingegnere di produzione venezuelana. L’abbiamo presa perchè è brava, senza guardare al passaporto».

Elizabeth Bancayán, 34 anni, laurea in Ingegneria della produzione a Caracas, in Italia da 4 anni, aspetta la cittadinanza: «Sono venuta in Italia con mio marito che è figlio di italiani. Alla fine la scelta più facile. In Venezuela ho ancora i miei genitori. Ma il nostro futuro è qui. La situazione politica ed economica a Caracas è troppo complicata. Noi siamo di una generazione che fa meno fatica a lasciare il proprio Paese. Basta poco per perdere qualcosa delle proprie radici e abituarsi alla cultura italiana. Anche se sono passati solo pochi anni, non mi sento già più parte del Venezuela di oggi. Problemi in Italia? La burocrazia per ottenere la cittadinanza. Il mio passaporto venezuelano è oramai scaduto. Non posso uscire dal Paese».

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Ivanka Galic, 48 anni, croata di una cittadina vicina a Spalato, è in Italia dal 1991. La sua è una storia che non si dimentica. «Avevo vent’anni. Ero in Italia in viaggio di nozze quando in Croazia è scoppiata la guerra. Ero pure incinta. Abbiamo deciso di rimanere qui, non si poteva tornare indietro. Per fortuna avevo uno zio a Milano che all’inizio ci ha dato una mano». Alla MICROingranaggi arriva 13 anni fa, dopo aver lavorato in un’altra azienda meccanica: «Ho un diploma da perito meccanico preso in Croazia. Non mi sarebbe mai piaciuto fare un lavoro da donna, come la parrucchiera o chissà cosa. In realtà avrei voluto fare la poliziotta ma i miei genitori erano contrari. Sono nata in Croazia ma questa è casa mia, qui è dove sono nate le mie due figlie, qui è dove lavoro. In casa parliamo soprattutto italiano, per le bambine che vanno a scuola. Ho fatto la richiesta della cittadinanza italiana, non mi è ancora arrivata, ma non è un problema. Siamo in Europa».

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Nei capannoni le macchine a controllo numerico e a guida elettronica ronzano appena in file ordinate. Si lavora sul filo dei micron. Ci vuole precisione. Uno degli addetti all’assemblaggio è Edoard Maldonado, 31 anni, peruviano di Ayacucho, in Italia dal 2001. «Sono arrivato in Italia che avevo 14 anni. All’inizio è stata dura dover lasciare i miei amici e il mio Paese. Sono venuto qui perché ci lavorava già mia madre come domestica. Il mio Paese di origine alla fine lo conosco poco. Ci sono tornato una volta sola. La mia vita è qui. Mi sono integrato bene. Ho anche la cittadinanza. Ho gli amici. Ho la casa e il lavoro. La situazione economica è difficile in Perù.  Alla fine sono peruviano solo perché sono nato là».

Jorge Cribiliero, 43 anni, peruviano di Lima, in Italia da 16 anni, ha un incarico di responsabilità nella gestione del magazzino. «I miei fratelli erano qui dagli anni Novanta, alla fine li ho seguiti anch’io. All’inizio lavoravo con una cooperativa, sempre addetto alla produzione. Nel 2014 sono stato assunto da MICROingranaggi. In Perù dove vivono ancora i miei genitori sono riuscito a tornare solo tre volte in tutti questi anni. Mi mancano, certo, ma la mia vita è qui. Sto anche aspettando la cittadinanza italiana. Ci sono difficoltà burocratiche e poi quando cambiano i governi non sai mai come cambi la legge. Sono sposato con una peruviana, abbiamo una figlia di 13 anni nata in Italia. Anche se il futuro è qui non vogliamo dimenticare le nostre radici. In tutto il Sud America le ragazzine che compiono 15 anni festeggiano la Quinceañera. Mia figlia non vorrebbe fare questa festa. La cosa che più mi dispiacerebbe è che lei non si sentisse a suo agio. Alla fine è questa la cosa più importante. Io non ho perso le mie radici anche se mi sono integrato molto bene. Alla fine lo straniero che non viene accettato è solo quello che non vuole integrarsi».