Sotto lo sguardo della madrina Georgette Eto’o e delle due donne dipinte dall’artista italocongolese Luigi Christopher Veggetti, si è svolta la quarta edizione dell’Afro Fashion Week, che non ha tradito le aspettative. Era il 2016 quando Michelle Francine Ngonmo e Ruth Akutu Maccarthy hanno organizzato per la prima volta in Italia l’evento dedicato alle collezioni di moda Afro. A distanza di quattro edizioni, l’Afro Fashion Week ha riunito per due giorni nel White Balance Space di via Procaccini estimatori, professionisti del settore, influencer del seguito di varia grandezza, gli immancabili buyer cinesi, giornalisti che cercavano di farsi spazio a forza di badge altisonanti e semplici curiosi.

Sfilata e collezioni

Due giorni, sei brand. Il primo a sfilare è stato Sassape, una collezione di moda streetwear in cui il protagonista assoluto è il giubbotto: coloratissimo, mai sotto alla cintura, portato sui jeans come su minidress neri. Tutt’altre aspirazioni quelle della prima collezione Afroots di Flavia Fargnoli, «una romana di cuore africano», come ha detto di lei la vice presidente di Afro Fashion Ruth Akutu Maccarthy, presentandola: corti e lisci abiti di seta monocromatica hanno percorso la passerella del White Balance Space insieme a modelli dalla linea più definita e fantasie riecheggianti l’Africa occidentale.

A chiudere la prima giornata di sfilate è stata la Wanki Couture del giovanissimo – appena ventunenne – Wanki Derrick, finalista del concorso “Emergenza della moda Afro sulla scena internazionale” nell’ambito del progetto CAMon. Un concorso a cui hanno preso parte un centinaio di studenti della Libre Académie des Beaux-Arts di Douala (Camerun), tra i quali sono stati selezionati i venti che l’anno scorso hanno frequentato un corso intensivo tenuto da una quindicina di professionisti – stilisti, designer, influencer, scenografi, sarte – del settore. Durante la scorsa edizione erano stati presentati i venti modelli prodotti dagli studenti a fine corso, quest’anno abbiamo potuto vedere due intere collezioni, create a Douala con i tessuti dell’azienda Ratti, sponsor tecnico della Afro Fashion Week.

Orgoglio in passerella

Dopo che i tamburi e le danze di Afroots hanno aperto la seconda giornata, il primo brand a sfilare è stato Ethnic Revival by Marc Bell. Modelle e modelli hanno calcato la passerella indossando la collezione che guarda al mondo intero dello stilista francese di origine camerunense – in cui spiccavano i preziosi kimono, la spettacolare completo argentato e le jumpsuit destrutturate in tartan – sopra le basi di All life is, Fui Mborda, Ça A Déja Commencé e Yo Pe.

È poi arrivato il momento di vedere le creazioni della stilista afroitaliana Aida Aicha Bodian, che ha proposto due capsule collection. Entrambe espressioni dell’orgoglio che si prova a essere ciò che si è: chi indossa gli abiti di Nebua porta con fierezza i tessuti della tradizione senegalese reinventati in una foggia contemporanea, mentre gli slogan stampati sulle magliette di Melanin Nappy rivendicano letteralmente la gioia nell’essere neri. Come per Ethnic Revival, sono saliti sulla passerella anche i gemelli afrodiscendenti di otto anni Rayhan e Francois, iTwins.

Da Douala a Milano

La quarta edizione dell’Afro Fashion Week si è chiusa con la sfilata del brand Djuije di Djuidje Lynne Rolande, vincitrice del concorso e studentessa di Fashion Design alla Laba: i suoi sono abiti che si divertono a disarticolare gli stereotipi dell’alta moda (a partire dall’iconico cappello a falda larghissima).

Un modello di Djuije – Foto di Carlo Lesma

Una collezione, quest’ultima, confezionata a Douala, in parte con i tessuti della Ratti di Como, e mostrata per la prima volta a Milano agli occhi di una platea internazionale.

Sempre sotto lo sguardo dell’attenta presidente di Afro Fashion Michelle Francine Ngonmo che, per valorizzarli tutti, ha indossato una creazione di ciascuno dei sei stilisti che hanno partecipato all’Afro Fashion Week di quest’anno.