Dopo una settimana a dir poco turbolenta sul fronte della Brexit ed un voto alla Camera dei Comuni che ha fatto storia, portando alla più grande sconfitta per un Governo, siamo tornati al punto di partenza. Theresa May illustrerà il suo “piano B” oggi, 21 gennaio, a Westminster ma nessuno si aspetta un cambio di rotta. Più semplicemente, si pensa che la May cercherà ulteriori garanzie dall’Ue sulla spinosa questione irlandese. Garanzie che l’Ue ha già sostenuto di non poter dare. Oggi si apre la registrazione degli europei residenti nel Regno Unito, che sono oltre tre milioni e mezzo. Ogni singolo cittadino europeo (che non abbia già ottenuto la cittadinanza britannica o abbia già ottenuto il permesso di soggiorno) dovrà da oggi fare domanda all’Home Office per poter ottenere un nuovo permesso di soggiorno – Indefinite leave to remain, ribattezzato “Settled status” per gli europei – per poter continuare a vivere a casa propria legalmente. Si teme però che molti, alcuni stimano decine se non centinaia di migliaia di europei, verranno esclusi perché non sono a conoscenza delle nuove regole o perché non hanno i documenti necessari per dimostrare di essere legalmente nel Paese.
Costanza de Toma ha condiviso con noi la sua storia e le sue riflessioni su cosa l’ha spinta a partire, riappropriandosi delle sue radici italiane.
È ancora vivo in me il ricordo di quel mattino, il 24 giugno 2016, quando mi sono svegliata all’alba per scoprire l’esito del referendum sulla Brexit. È stato come ricevere un pugno nello stomaco. Ricordo la mia incapacità a crederci, il dolore, la rabbia, l’amarezza e le lacrime. Ho vissuto la decisione del Regno Unito di uscire dall’Ue come un tradimento, un lutto. Io, figlia dell’ideale europeo, che ha sempre creduto fortemente in un’Europa coesa e coerente. Non potevo credere che la mia seconda patria, il Paese che amo e che avevo scelto per mettere nuove radici, avesse potuto fare una scelta così sbagliata. Premetto che questa storia è il mio vissuto, la mia verità che condivido per amore di cronaca in un momento in cui l’impasse sulla Brexit sembra non avere fine e siamo paradossalmente tornati al punto di partenza.
Sono nata a Milano nel 1972. Lì ho avuto la fortuna di frequentare una scuola internazionale, imparando l’inglese fin da piccola. Questo ha segnato il mio destino, che mi ha vista partire da Milano verso Londra nel 1991, appena diplomata. Dopo una laurea in antropologia alla London School of Economics, mi sono specializzata in cooperazione allo sviluppo all’Institute of Development Studies di Brighton. E poi ho lasciato la Gran Bretagna per andare nel cuore dell’Unione Europea, a Bruxelles, dove ho lavorato al Parlamento europeo. Tornata a Londra nel gennaio 2001 con il mio compagno – torinese – che ho conosciuto a Bruxelles, ci sono rimasta fino all’agosto del 2018. Ho passato gran parte della mia vita in Inghilterra, lì ho studiato, mi sono sposata, ho lavorato e lì sono nati i miei tre figli. Nulla potrà mai cancellare tutto ciò. Sono una londinese e ne vado fiera.
Perché abbiamo deciso di lasciare il Regno Unito? Perché il referendum è stato una vera e propria scossa sismica che ha scardinato la nostra tranquillità, rimettendo in discussione valori fondamentali in cui abbiamo sempre creduto e dato per scontato.
Basta pensare al caos scatenato fin dai primi giorni: le dimissioni shock di David Cameron, la sterlina in caduta libera, la crisi politica, l’aumento repentino delle aggressioni – hate crimes – contro gli europei, lo spettro di una crisi economica. Nei mesi seguenti, tutto quello che avevo sempre ammirato dell’Inghilterra è andato sgretolandosi. Il clima è diventato sempre più tossico. Non riconoscevo più la mia Inghilterra. È iniziata una vera e propria strumentalizzazione politica dei cittadini europei, oltre tre milioni di persone che, come me, avevano messo radici nel Regno Unito.
Nel corso degli ultimi due anni, in quanto europea, mi sono sentita chiamare da Theresa May, ed altri, una «citizen of nowehere» (‘apolide’) a causa delle mie molteplici radici; sono stata definita una «bargaining chip» (‘una fiche’) per avere la meglio al tavolo delle trattative; e più recentemente una «queue jumper» ovvero ‘una che taglia la fila’, offesa capitale per un britannico.
Non solo. Il Governo di Sua Maestà ha tentato il tutto e per tutto nelle trattative con l’Ue per cercare di ridurre molti dei miei diritti, emanati dalle legge europea. Per fare un esempio: il mio diritto alla riunificazione famigliare, volendomi impedire di poter essere raggiunta in Inghilterra da mia madre seppur bisognosa di cure. Solo l’opposizione categorica dell’Ue ha evitato che ciò accadesse. Ma nel caso in cui il Regno Unito uscisse senza un trattato di recesso, questo diritto verrebbe effettivamente perso dopo la Brexit. Theresa May ha fatto una battaglia personale contro la libera circolazione degli europei – grazie a cui ho potuto fare le mie scelte di vita – volendola eliminare «once and for all» (‘una volta per tutte’), come fosse una piaga quale la malaria.
Tutto questo fa male. E allora ti guardi intorno e ti domandi se valga davvero la pena rimanere quando tutto intorno a te perde forma e definizione, quando il futuro è incerto, quando ti senti a malapena tollerato a “casa” tua. Ti domandi chi sei veramente e non ti sai dare una risposta. Non perché tu sia davvero apolide – come pensa Theresa May – ma perché le tue radici, vecchie e nuove, vanno molto al di là delle frontiere nazionali e la tua identità è molto più complessa di quanto possa apparire.
Decidere di partire, cambiare Paese, portare via i figli da tutto quello che conoscono non è una decisione facile. Puoi soppesare i pro e i contro ma è pur sempre un gioco d’azzardo. E così lo è stato per noi. Abbiamo giocato d’anticipo, come chi fa una partenza intelligente per evitare le code in autostrada. Ce ne siamo andati prima della Brexit, perché dopo due anni e mezzo in limbo ne abbiamo avuto abbastanza e perché abbiamo immaginato che se tutto fosse andato a rotoli – come può ancora succedere – sarebbe scattata una crisi profonda e ci sarebbe stata la fila per uscire dal Regno Unito. Ora possiamo vedere gli eventi rocamboleschi a Westminster in diretta, comodamente seduti sul divano di casa nostra a Torino come stessimo vedendo House of Cards. Ma in realtà, nonostante la lontananza, continuiamo a essere partecipi, viviamo ogni nuovo sviluppo in prima persona come esuli della Brexit. Esuli che desiderano integrarsi e costruirsi un futuro in Italia.