Roberto Saviano
In mare non esistono taxi
(Contrasto, 2019)

L’impegno di Roberto Saviano a fianco dei migranti lo conoscono tutti. Gli scontri con il ministro dell’Interno Matteo Salvini pure. In questo libro pubblicato da Contrasto, la casa editrice di una delle più importanti agenzie fotografiche, l’autore di Gomorra scrive una ampia riflessione avendo davanti agli occhi gli scatti che documentano l’odissea spesso tragica dei migranti. Le immagini dei più grandi fotografi che hanno documentato da vicino le marce attraverso il deserto del Sahara, i campi in Libia, i barconi nel Mediterraneo, hanno ora anche una voce. Quella di uno scrittore che ha venduto milioni di copie e che da sempre guarda agli ultimi. Fabio Poletti

Per gentile concessione dell’autore e della casa editrice Contrasto, pubblichiamo un estratto dal libro In mare non esistono taxi di Roberto Saviano.

In mare aperto
In mare aperto non ci sono taxi. Non c’è nessuno. Acqua e cielo coincidono, e quando coincidono significa che non c’è terra all’orizzonte.
In mare aperto non c’è più nessuno. Eppure sulla mappa sembrano così vicine le coste, a guardarle con lo smartphone sembra un attimo, e invece ci vogliono giorni.
In mare aperto ci sono onde, c’è nausea, c’è un freddo che ghiaccia le ossa e subito dopo caldo che ti arrostisce la pelle, secca la gola e ora dopo ora fa perdere ogni speranza, se ancora ne hai. In mare aperto c’è tutto questo, ma più spesso, in mezzo al mare, c’è la morte. Una morte silenziosa, una morte senza testimoni, una morte senza ambulanze e senza mani tese.
Prima che arrivassero i “taxi del mare”, in mare aperto c’era vita da salvare, c’era vita di cui occuparsi. Prima che arrivassero le accuse ai “taxi del mare”, le Ong erano lì a occuparsi di quelle vite e le persone nei porti al loro arrivo battevano le mani perché chi salva una vita le salva tutte. È accaduto che in Italia si celebrasse sulla terraferma ogni vita sottratta alle onde. Un tempo le Ong lavoravano insieme alla Guardia costiera, in mare. In mare aperto.
Poi è diventato tutto nero, in poco tempo, in poche settimane, nel volgere di un’estate. I “taxi del mare”, i libici che sparano alle imbarcazioni delle Ong e ai migranti in mare, in mare aperto.
In mare aperto arrivano i latrati nazionalisti, gli echi sovranisti, gli slogan che pretendono di ribaltare le leggi del mare che da sempre hanno un’unica declinazione: nessuno viene lasciato in mare.
In mare aperto arriva la sovranità della propaganda che rimanda nell’inferno o fa annegare con la pretesa di salvare dallo schiavismo. Ti lascio annegare o ti rinchiudo in un lager, per salvarti. Si è arrivati a questo: incredibile come tutto sia cambiato in così poco tempo.
Prima in mare aperto c’era sofferenza ma riusciva a galleggiare la speranza di farcela. Ora in mare aperto c’è solo dolore, morte e sconfitta. Sconfitti tutti, anche chi resta impassibile di fronte alle sciagure. Anche chi non sa niente delle sciagure o finge di non sapere. O vorrebbe non sapere. Nessun vincitore.
Fabrizio Gatti in Bilal racconta la sua partenza da Milano, in aereo per Dakar: la prima tappa del suo viaggio. Un viaggio che ha fatto molti anni fa per raccontarci l’umanità che decide di partire dall’Africa e attraversare il mare. Proprio Dakar mi ha fatto venire in mente l’isola di Gorée che dalla capitale del Senegal dista solo tre chilometri. L’isola di Gorée è un lembo di terra oggi Patrimonio dell’Umanità, ma fino al 1848 è stato un luogo di sofferenze indicibili. Da lì partivano gli schiavi, verso il mare aperto, destinati al Nuovo Mondo. Milioni di africani: i più forti venivano imbarcati, i più deboli buttati a mare. Nessun rispetto per la vita. Nessuno.
Scrivo queste parole e le dita si fanno pesanti. Come se tutta la nostra storia, come se la storia dell’umanità fosse stata cancellata con un colpo di spugna; come se dovessimo rivivere tutto daccapo per capire. Abbiamo depredato l’Africa di esseri umani e poi l’abbiamo depredata di risorse. Abbiamo saccheggiato il sottosuolo, azzannato le ricchezze e oggi non ci vogliamo prendere responsabilità del destino di chi lascia una terra depredata. L’Europa, nonostante politiche predatorie, ha il coraggio di chiudere i porti, di presidiare le frontiere, di farsi una fortezza respingente, di temporeggiare. Ma in mare aperto non c’è mai tempo, in mare aperto non esistono taxi. In mare si muore.

© Roberto Saviano/Courtesy Roberto Koch Editore

Darrin Zammit Lupi, Al largo di Zawiya, Libia, 4 aprile 2017