ll bianco e nero della clip di #Afroitaliano gli si addice. Perché Tolulope Olabode Kuti, meglio conosciuto come Tommy Kuti, 29 anni, nigeriano di nascita, in Italia da 27, rapper in ascesa vertiginosa, non si sente né bianco né nero. Sul treno che lo riporta al Nord dopo l’ennesimo concerto sold out, tappa romana, grande folla e ore piccole, ripete quello che è diventato un po’ il suo mantra per non dire il suo marchio di fabbrica: «Non ne posso più che tutti mi chiedano se mi sento più italiano o più africano. Sono nato in Nigeria, sono cresciuto in Italia dove abito, mi sono laureato in Gran Bretagna e ho vissuto negli Stati Uniti. È irragionevole pensare di questi tempi che uno come me, con il mio percorso, possa essere incasellato in una sola nazionalità. Ho molte radici, sono figlio di tante culture. Alla fine sono afroitaliano».

Questa cosa per Tommy Kuti deve essere diventata una specie di ossessione. Su cui è comunque capace di giocare con l’autoironia che pochi hanno. In #Afroitaliano rappa con parole delicate: «La nostra nazione sta scritta nel cuore». Ma poi si fa stendere sul lettino dello psicanalista alla mercé del professor Fabi Fibra, il primo grande nome della musica rap a scoprire le potenzialità di questo afroitaliano con il forte accento bresciano, che gli è rimasto, malgrado abbia sul passaporto tutti i timbri del mondo. Ad aprire la strada era stato suo padre, 1989, anno del crollo dei muri, quando ancora non si pensava di erigerne altri. Il padre di Tommy è solo uno studente, la Nigeria gli sta stretta, c’è questo figlio che sta per nascere, l’Italia sembra ancora una meta sicura. In pochi anni riesce a mettere in piedi un’attività di import export che funziona ancora oggi. Due anni dopo arriva la madre con il piccolo Tommy. A Castiglione dello Stiviere, vicino a Brescia, cresce come un bambino come tanti. Con i problemi di tanti che hanno il colore della sua pelle. «Certo che è stato difficile a scuola. Anche le maestre non è che abbiano fatto tutto questo sforzo per cercare di spiegare le diversità. E poi in Italia c’è questa abitudine a prendersi delle libertà che non vanno bene. Ed è stato difficile anche dopo la scuola. Anche in Gran Bretagna dove poi mi sono laureato in Scienze della Comunicazione e negli Stati Uniti ci sono stati problemi di razzismo. Ma almeno sono più avanti. Noi in Italia oggi sembriamo la Gran Bretagna degli anni Settanta quando i neri arrivavano dalle Colonie.

Da noi si parla solo di sbarchi e di criminalità. Non vengono valorizzati i tanti talenti che vengono espressi anche da chi non ha la pelle bianca. E questo è un ulteriore problema.

L’incontro di Tommy Kuti con la musica non è una via di fuga ma la scoperta di un nuovo e assai potente mezzo di espressione. La scena musicale britannica dove passa molto tempo insieme ai cugini che vi abitano è uno shock culturale e sociale. A 16 anni inizia a rappare e a registrarsi. Il decollo è verticale. A 21 è già una professione. Nel 2015 insieme a Diss 2 Peace e Yank fonda l’etichetta discografica Mancamelanina, uno nome che è già tutto un programma perché gioca con il termine dei pigmenti che determinano la colorazione della pelle. Subito dopo esce Mancamelanina Mixtape, il primo successo di Tommy qui in trio. Nel 2017 lo scopre Fabri Fibra. Nello stesso anno Tommy Kuti viene ingaggiato dalla Universal, una delle major americane della discografia con cui pubblica prima La cura poi #Afroitaliano. Da allora Tommy Kuti non si è più fermato. Anche se guardandosi attorno vede che qualche problema continua ad esserci.

«Ho scoperto di essere l’unico artista visibilmente nero della Universal. È davvero strano, vedendo quanti ragazzi talentuosi della mia generazione cercano di rendersi visibili con la musica». Ad uno come lui che dietro gli occhiali ha i raggi x per sondare la complessità della società non è sfuggito quello che sta diventando un pericoloso trend almeno da un punto di vista identitario. Cioè l’abbandono da parte dei nuovi italiani delle proprie radici e della propria cultura originale, quasi potesse essere la strada per una più veloce integrazione e dunque accettazione. «La gente si vergogna della propria storia quando non la conosce. Se si continua a parlare di noi solo per gli sbarchi e per la criminalità, si finisce di ingenerare un senso di rifiuto delle proprie origini che incide direttamente sull’autostima di un’intera generazione. Io ho imparato a non vergognarmi ma capisco che ci vuole molto coraggio per dire “io sono anche questo”. Quello che non capiscono la politica e le istituzioni in Italia oggi è che non si ottiene nulla a renderci solo la vita difficile. La gente non si rende conto che il benessere degli immigrati è in relazione con il benessere degli italiani».

Dal suo osservatorio Tommy Kuti con la sua musica, con il suo rap graffiante continua a voler raccontare la società che vede e non gli piace, quella di chi vorrebbe tenere divisi e distanti bianchi e neri. «Solo certi musicisti e certi rapper hanno il coraggio di parlare in prima persona contro una certa politica dominante. Pochissimi poi tra i musicisti pop, anche se qualcuno c’è». Per non farsi mancare niente Tommy Kuti ha avuto pure il coraggio di mettere nel mirino Matteo Salvini con una canzone: «Chiedi a Salvini che starebbe a fare se / tutta la sua famiglia facesse la fame e / se sapesse che lui partendo per quel viaggio / trova un posto nel disagio / e mette a posto il suo villaggio (…) Io voglio lo ius soli / perché lo Stato ci lascia sempre più soli».

E se parlo di razzismo dicon Tommy sei pesante / ma io lo vedo a Brescia tutti i giorni è una costante / sulla metro le vecchiette fanno tutte un passo indietro / tengon strette le borsette quando è arrivato il negro.

Messaggio arrivato a destinazione come un missile, con Matteo Salvini che sui social dialoga a distanza con il rapper: «Al rapper Tommy Kuti (che mi dedica anche una strofa) dico che chi nel 2017 discrimina in base al colore della pelle è un cretino, ma questo non c’entra nulla con la cittadinanza. Che non si regala in modo automatico». La replica del leader leghista non ha certo fermato il rapper afroitaliano già al lavoro con un nuovo album che dovrebbe uscire tra pochi mesi: «Parlerò ancora dell’Italia di qui. Noi musicisti dobbiamo raccontare la realtà che ci circonda. Mi piacerebbe essere riconosciuto come musicista anche in Nigeria, anche in Africa. E chi lo sa che un giorno non ci possa tornare».