Quando nel 2018 è uscito il singolo Konichiwa, le sue canzoni hanno catturato velocemente l’attenzione del pubblico del web e i suoi video hanno registrato un’impennata di visualizzazioni sui social. Non capita tutti i giorni di imbattersi in un rapper orientale che canta in italiano con la L al posto della R, mettendo in scena la parodia del più diffuso tra i cliché dell’asiatico secondo gli occidentali.

Duc Loc Michael Vuong, in arte Mike Lennon, è nato a Parma nel 1995 da genitori vietnamiti. Dopo la guerra in Vietnam la famiglia di Mike è emigrata in diverse parti del mondo e il papà e la mamma di Mike sono approdati a Parma, dove si sono conosciuti negli anni ’90.

«Entrambi facevano gli operai, pur avendo studiato tutt’altro. Mia madre è laureata in fisica», racconta Mike. «Mio padre ascoltava i Beatles e mi ha trasmesso la passione per questo gruppo. Da ragazzino ero un fan sfegatato, è per questo che ho scelto di chiamarmi Lennon».

A Parma è cresciuto e ha frequentato il liceo poi si è spostato a Milano per studiare Design degli Interni al Politecnico. Ha imparato da subito che ci vuole molta fatica per ottenere qualcosa nella vita. «Mi riconosco nel modello del rapper che è cresciuto tra mille difficoltà ma alla fine ce l’ha fatta». Mike ripete più volte di essere stato fortunato a incontrare le persone giuste nella sua carriera ma è evidente che ha lavorato sodo. Si è cimentato con diversi mestieri mentre era all’università e contemporaneamente ha iniziato a occuparsi di musica producendo giovani musicisti.

Sta ancora studiando per diventare un bravo produttore, precisa lui, e con un piglio accattivante che miscela ambizione e determinazione parla di artisti come Timbaland e Scott Storch, che hanno prodotto, tra gli altri, Justin Timberlake e 50 Cent.

Le origini vietnamite di Mike sono un punto fermo nella sua formazione e fanno tuttora parte di un percorso esplorativo. «Parlo il cantonese e capisco il vietnamita ma sono stato in Vietnam solo una volta da bambino. Ho in cantiere di tornarci e di prendere ispirazione per scrivere un disco lì». La scena musicale asiatica fatica ad arrivare in Italia e in generale in Europa, mentre negli Stati Uniti è più facile farsi conoscere, come nel caso, ricorda Mike, del giovanissimo rapper indonesiano Ricco Brian che ha sfondato negli Stati Uniti un paio di anni fa diventando virale con il singolo Dat $tick.

Dopo l’esordio con un mixtape in inglese, in aprile è uscito per la Carosello Records il primo EP in italiano, con la produzione di Renzo Stone. Si intitola Asian e si presenta con una bella copertina realizzata dal sushi artist TheOnigiriArt, nato in Cina ma milanese di adozione. I singoli estratti sono stati parecchio seguiti sui social, andando a colmare il vuoto di un artista di origini asiatiche sulla scena musicale in Italia.

I suoi testi affrontano ironicamente lo stereotipo dell’orientale diffuso in occidente, connotato prima di tutto dall’uso della L al posto delle R, che Mike non abbandona mai neanche durante l’intervista.

Titoli come Konichiwa, Aligatò, Shumai e Talocco la dicono lunga su una dimensione di generalizzazioni e luoghi comuni fatta di ristoranti giapponesi (gestiti da cinesi), di contraffazioni, di frenesia da lavoro. Anche se si mostra contento di essere considerato un ponte tra la cultura asiatica e quella occidentale e apprezza il fatto che la sua musica sia stata definita “asian rap”, Mike non ama particolarmente le etichette. «Mi interessano le persone, le relazioni e le cose uniche che possono nascere nelle varie situazioni. La creatività non c’entra con la provenienza».