Per questa pausa estiva, abbiamo selezionato le storie più belle dall’archivio di NuoveRadici, che ripubblicheremo nelle prossime settimane. L’intervista al rapper Ghile è stata pubblicata nell’ottobre 2018.
Ermias Ghile, classe 1989, è un rapper italiano. Passa le sue estati in Eritrea, il Paese d’origine dei suoi genitori, ha vissuto otto anni a Londra e ora è tornato a Milano. A gennaio uscirà il suo nuovo disco che parlerà del quartiere, inteso non come luogo fisico ma come comunità e approccio esistenziale.
«Io true italiano come Trussardi / Non lo dico a Salvini o diventa Sgarbi», canti in Italiano. Il tuo essere eritreo/italiano ha influenzato molto la tua scrittura?
«Sì, assolutamente. Diciamo che grazie a questa dualità sono sempre stato più comprensivo. Ho due visioni: quella italiana e quella eritrea. Riesco a capire entrambe le situazioni. Ad esempio, all’inizio scrivevo di mia madre, della sua storia e delle difficoltà che ha incontrato negli anni ’70 da emigrata a Milano».
Insomma, ormai i tuoi sono più italiani che altro.
«Esatto. I miei genitori sono arrivati in Italia negli anni ’70. In aereo, a differenza di quanto si possa immaginare. Papà sapeva già l’italiano, a causa del colonialismo italiano in Eritrea. Quando sono arrivati erano entrambi giovanissimi, mia mamma aveva vent’anni, mio papà ventuno. Si sono incontrati e innamorati a Milano, come nelle migliori storie d’amore».
E tu hai seguito i loro passi, da giovanissimo sei partito per Londra.
Subito dopo le superiori non sapevo cosa fare. Mi sono diplomato come tecnico aziendale e a scuola ho tra l’altro coltivato la mia passione per la poesia che poi mi ha portato al rap. Il rap è poesia, ritmo, rime. Solo che ci metti sotto un beat. Mia mamma voleva mi iscrivessi subito all’università ma io non volevo. Ho cercato lavoro fino a novembre di quell’anno e poi ho deciso di raggiungere dei miei amici a Londra.
«I primi due anni ho lavorato e ho imparato bene la lingua. Poi mi sono iscritto alla London Metropolitan University per studiare Relazioni Internazionali. Sono stato fortunato, è forse una delle università migliori per questo corso di studi. Ho studiato con iraniani, africani, italiani, inglesi. Sono sempre stato appassionato di politica, quando ero piccolo vedevo sempre con mio papà programmi come Ballarò.
Non ho molto sfruttato questa laurea, almeno in Italia. A Londra ho lavorato per alcune organizzazioni non governative ma non mi hanno convinto fino in fondo, ne sono rimasto un po’ deluso. Mi sono reso conto che purtroppo non avrebbero portato un vero cambiamento. Quello lo possono fare solo i governi, ma non mi sembrano tanto intenzionati».
E ora sei tornato a Milano, come mai?
Perché da bravo italiano mi mancava un po’ tutto! Dal cibo, al calore, alla famiglia. Londra è frenetica e fredda. Certo, trovare lavoro è più semplice. E ti dirò, in Inghilterra l’italiano cambia mentalità. Sarà che viene a contatto con tantissime culture diverse e che è un immigrato.
«Qui poi sto provando a vivere di musica. Ho finito di registrare il mio secondo tape che uscirà a gennaio. Sarà diverso da quelli precedenti, mi rifarò al sound più attuale continuando però come sempre a raccontarmi e a raccontare. In particolare questo tape si incentrerà sul quartiere inteso non come posto fisico ma come comunità. Non posso anticipare niente di più».
I tuoi riferimenti musicali quali sono?
«Da piccolo ascoltavo tantissimo rap americano come Snoop Dogg, NAS, qualcosa di italiano come Inoki. Adoro però anche la musica black, della Motown, tipo Marvin Gaye. Ogni tanto bisogna staccare dal genere che si fa».