Femi Oluwole, giovane britannico di origine nigeriana, è emerso negli ultimi due anni come uno dei personaggi più rappresentativi del movimento giovanile contro la Brexit. Con i suoi video incisivi e irriverenti è riuscito a fare breccia sui social. La sua forza è la grande capacità comunicativa, spontanea e diretta ma soprattutto informata. Femi Oluwole infatti ha studiato Giurisprudenza in Inghilterra ed in Francia, ha lavorato a Bruxelles e conosce le istituzioni europee da vicino. Questo gli ha permesso di smontare le false teorie e i pregiudizi con una narrazione corretta, o meglio di sottrarre il dibattito sull’Ue alla polarizzazione per evitare che diventi uno scontro tribale, come scrive nel suo profilo Twitter @Femi_Sorry seguito da 111 mila follower. Femi è anche un esempio emblematico del dinamismo delle nuove generazioni di europei con background migratorio. E infatti nella intervista spiega di non sentirsi un immigrato, ma semmai un britannico che considera l’Europa come il suo Paese.

Quando è stato annunciato il referendum sull’Ue nel 2016 lei non era neanche in Inghilterra ed è poi tornato per mobilitarsi contro la Brexit. Come mai?

All’università ho studiato Legge ed ho fatto l’Erasmus in Francia. Dopo la laurea mi sono specializzato in diritti umani, lavorando a Vienna e poi a Bruxelles. Quando David Cameron ha annunciato il referendum ero a Bruxelles ma ho deciso di tornare in Inghilterra per impegnarmi in prima linea. Ho fatto tutto da solo. Mi sono fatto una maglietta con la scritta “EU questions? Just ask” e sono andato per strada a parlare direttamente alla gente. Ho iniziato a registrare video e a farli girare sui social per sfatare i miti più comuni sull’Ue, per spiegare come vengono prese le decisioni a Bruxelles e quali sono i vantaggi di appartenere all’Ue. Ho perfino cercato il confronto diretto con Nigel Farage – figura emblematica e molto discussa della campagna del Leave – chiamandolo in diretta durante il suo programma radiofonico per smontare le sue teorie infondate. Infine, nel settembre del 2017 ho creato “Our Future, Our Choice”, un canale di comunicazione sui social volto direttamente a coinvolgere i miei coetanei. Ma la svolta è arrivata quando ho conosciuto Will Dry e Lara Spirit che avevano creato un movimento studentesco parallelo contro la Brexit in ben trenta università inglesi. Loro avevano il network, io la piattaforma digitale e il nome più “cool”. Così abbiamo unito le nostre forze lanciando insieme la campagna di OFOC – Our Future, Our Choice.

Le persone che, come lei, hanno radici fuori dall’Inghilterra ed hanno vissuto in diversi Paesi sono state definite da Theresa May «citizens of nowehere» (‘cittadini senza patria’). Come ci si sente ad essere definiti così? Cosa ha significato per lei godere del diritto alla libera circolazione?

È un vero e proprio insulto, sintomo di una profonda ignoranza che concepisce la cittadinanza solo come un legame territoriale e nativista, limitato esclusivamente alle persone del proprio Paese. Questo non corrisponde alla realtà. Infatti, la mia generazione – che ha votato significativamente per rimanere nell’Unione europea – è più connessa di ogni altra generazione precedente. Viviamo vite internazionali: viaggiamo, studiamo e lavoriamo in diversi Paesi. Dialoghiamo in rete con gente che vive dall’altra parte del mondo. La mia famiglia è di origine nigeriana. Mio padre è nato a Londra ma è cresciuto in Nigeria. I miei si sono trasferiti in Inghilterra poco prima che io nascessi alla fine degli anni Ottanta. Io sono nato a Darlington, nel nord est del Paese. Sono britannico a tutti gli effetti ma mi sento anche europeo. Non mi definirei un immigrato visto che sono nato ed ho vissuto gran parte della mia vita in Inghilterra. Ho sempre considerato l’Europa come il mio Paese. Grazie alla libera circolazione ho potuto vivere anche in altri Paesi europei, ho imparato un’altra lingua ed ho fatto nuove esperienze. Alcuni dei miei migliori amici, per esempio, li ho conosciuti quando vivevo a Bruxelles. Il solo pensiero che questo non sarebbe accaduto senza la libera circolazione mi turba molto perché è proprio questo il diritto che ora Theresa May ci vuole togliere.

Negli ultimi due anni ha viaggiato per il Paese incontrando sia “Remainers” che “Leavers” soprattutto al nord dell’Inghilterra, da dove lei proviene. È vero che l’immigrazione è percepita come un problema grave, come vuol far credere il Governo britannico?

Sì, è vero che molta gente che ha votato per uscire dell’Unione europea, soprattutto nelle zone più economicamente depresse del Paese, percepisce l’immigrazione come un problema. Ma questo è solo perché credono a ciò che gli è stato detto. È la narrazione che è sbagliata. Alla gente è stato raccontato che è a causa degli immigrati che i servizi pubblici nelle loro città e nei loro paesi sono in crisi, ma in realtà non è così. Gli è stato detto che non possiamo controllare chi entra in Inghilterra dall’Ue a causa della libera circolazione. Ma anche questo non è vero. È il Regno Unito che non ha mai applicato i controlli possibili nell’ambito normativo della libera circolazione.

E come spiega i motivi di chi ha votato per la Brexit?

Hanno problemi reali, non si sono mai sentiti ascoltati dal Governo di Londra, hanno creduto a ciò che gli è stato detto durante la campagna per il referendum e così hanno votato per cambiare le cose. Non per questo sono tutti xenofobi o razzisti. La vera tragedia è che Brexit non aiuterà a risolvere i loro problemi, perché non sono dovuti all’immigrazione bensì ai tagli ai servizi pubblici all’insegna dell’austerity e agli scarsi investimenti da parte del Governo nelle aree depresse del Regno Unito.

Pensa che l’Europa stia diventando più xenofoba e razzista? Si preoccupa per quello che potrà succedere alle elezioni europee del prossimo maggio?

Non mi sento di poter esprimere un parere a riguardo. È vero che ho assistito ad alcuni casi di razzismo quando vivevo all’estero ma non posso dire se le cose stiano peggiorando. Mi interesso molto a quello che accade in Europa oggi e vorrei impegnarmi per le prossime elezioni europee. Ma devo pormi dei limiti e fare una cosa alla volta. Per ora, il mio obiettivo è fare in modo che il parlamento respinga l’accordo negoziato da Theresa May per arrivare poi a un “People’s Vote” – ovvero un secondo referendum. Se agli elettori verrà data la possibilità di scegliere di rimanere nell’Unione europea, allora forse potremo davvero fermare la Brexit.