Tutti, persino il nostro ministro dell’Interno, mostrano di apprezzare l’immigrazione regolare – ordinata, legale, con tanto di visto rilasciato dalle ambasciate o dalle sedi consolari italiane nel mondo – contrapposta a quella del flusso irregolare dei barconi. Apparentemente logico sulla carta, perché nella realtà questo ragionamento non vale per l’Africa subsahariana, l’emisfero all’origine delle principali spinte migratorie degli ultimi anni (e dei prossimi).

Se infatti incrociamo i numeri dei visti rilasciati nel 2017 nelle sedi all’estero dalla Farnesina con i dati delle questure ci accorgiamo, ad esempio, che i cittadini nigeriani detengono un doppio primato: quello dei permessi di soggiorno ottenuti in Italia (26.843, nell’ 85 per cento dei casi ottenuti attraverso la richiesta di asilo o la protezione umanitaria) e quello dei visti rifiutati dai nostri addetti consolari: 9.068 richieste rigettate su 14.339, pari al 63%, di gran lunga la percentuale più alta (seppure in calo in cifra assoluta rispetto al 2016: 14.679 su 28.526). Va meglio ai cittadini del Senegal (11.239 permessi, al 67% umanitari) cui l’ambasciata di Dakar ha negato il visto d’ingresso “solo” in un caso su tre.

Per fare un confronto con un Paese subsahariano ma più ricco, il Sud Africa, le richieste, che erano più del doppio, nello stesso anno sono state evase nel 97% dei casi (per lo più, presumibilmente, turistiche, anche se l’Annuario Statistico della Farnesina curiosamente non lo rivela nel prospetto per singolo Paese).  
In materia di visti, del resto, il bilancio del triennio 2015-2017 del ministero degli Esteri non risulta particolarmente brillante: nessun accordo bilaterale sottoscritto nel  2015, 2 nel 2016 e 2 nel 2017.

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La situazione attuale ricorda per certi aspetti quella degli anni Zero e delle prime importanti “ondate” migratorie dall’Est Europa e dal Sud America. Migrazione, naturalmente, in gran parte illegale. Poi nel 2010 la svolta, le maglie della normativa italiana si allargano: i cittadini albanesi e del Guatemala (e più tardi dal Marocco) hanno potuto ottenere un visto d’ingresso fino a 90 giorni per motivi di studio, di turismo e di affari. La liberalizzazione dei visti al di sotto dei 3 mesi (promossa allora dal ministro Franco Frattini) andava soprattutto in parallelo all’implementazione del Codice dei visti Schengen e delle direttive comunitarie in materia di immigrazione. Il risultato è stata la circolarità dei flussi migratori con un rafforzamento degli scambi bilaterali che non ha comportato effetti critici in termini di ricezione nel sistema nazionale.

Nel corso del 2017 è aumentato il numero di nuovi permessi rilasciati: 262.770, il 16 per cento in più rispetto al 2016 che hanno rappresentato il 60 per cento degli ingressi. Tra i nuovi  permessi quelli per lavoro, però, hanno toccato il minimo storico (4,6 per cento del totale) mentre hanno continuato a crescere, al contrario, quelli concessi per le richieste di asilo e di protezione umanitaria (101.000 pari al 38,5 per cento pari a una crescita del 29,7 per cento rispetto al 2016).