E allora il Pd? Questa domanda è diventata un refrain, un tormentone, fonte di amarezza e talvolta di irritazione per i militanti e simpatizzanti del Partito democratico. Un interrogativo sarcastico e polemico per quanti hanno rimproverato al centrosinistra di non aver saputo intercettare la paura e il disagio che hanno portato al governo la coalizione giallo-verde. È da questa domanda che è partito un breve ciclo di interviste di NuoveRadici.World ai candidati che si contendono la segreteria del partito e si conclude alla vigilia delle primarie.
Ho letto nella sua mozione ‘Prima le Persone’, un’analisi complessiva esaustiva sullo scollamento fra le persone e la politica, ma il capitolo l’agenda progressista per il governo dell’immigrazione mi pare un po’ generico. Come mai il Pd non ha fatto ancora i conti con il multiculturalismo?
Sono preoccupato perché vedo il Paese scivolare verso livelli di intolleranza mai visti prima. Si moltiplicano gli episodi di razzismo, i gesti di violenza verso i più fragili. L’episodio del maestro di Foligno è aberrante. C’è tanta propaganda, ma nella realtà il governo non ha risolto nulla, neanche sui flussi migratori. Siamo isolati al livello internazionale, che è l’unica dimensione possibile per gestire il fenomeno migratorio, mentre dentro il Paese si sta smantellando la rete dell’integrazione e tutta una serie di esperienze che producevano inclusione e sviluppo. Il sospetto è che vogliano creare uno stato di emergenza permanente, perché la loro politica si fonda in effetti proprio sulla paura, sul conflitto e sullo sdoganamento della disumanità. Siamo arrivati persino al sequestro di esseri umani nei porti italiani con la scusa di un’emergenza che già nel 2018 non c’è più, anche se in troppi continuano a morire in mare. Un fallimento totale.
Io credo che il campo progressista abbia il dovere di proporre una gestione alternativa, umana ed efficiente dei flussi migratori. Nella mia mozione ci sono alcune proposte, che certamente dovremo arricchire in futuro, anche con il contributo di coloro che quotidianamente lavorano per l’integrazione. L’Italia democratica deve far emergere queste forze. Alla paura si deve rispondere con due grandi azioni: spendere ogni nostra energia per favorire accordi internazionali che distribuiscano automaticamente i pesi delle migrazioni tra tutti i Paesi europei; intervenire sulla rete dei Comuni e sul Terzo settore per favorire sicurezza e inclusione.
Le pongo la stessa domanda fatta ai suoi competitor, Roberto Giachetti e Maurizio Martina: perché il Pd non è stato capace di costruire una narrazione alternativa e convincente a quella sovranista sull’immigrazione?
Purtroppo il messaggio populista ha una forza dirompente, soprattutto nei momenti in cui le società sono più impaurite da crisi economiche. In quei momenti – come è già successo nella storia – vincono il rancore, la paura, la retorica del capro espiatorio.
Noi forse non abbiamo colto con la giusta attenzione la portata di questi cambiamenti e non abbiamo agito con sufficiente convinzione per affrontare il tema delle disuguaglianze crescenti. Siamo apparsi timidi e lontani. Oggi abbiamo il dovere di voltare pagina e costruire un nuovo welfare capace di rimuovere nei cittadini quel filtro che rischia di distorcere la percezione dei grandi fenomeni sociali. Dove c’è sicurezza sociale, lavoro, opportunità, la retorica dell’odio ha meno presa.
La verità che cercano di rimuovere è che dati alla mano l’immigrazione si trasforma in emergenza solo quando latitano lavoro e welfare. Al contrario, l’integrazione genera ricchezza per il Paese. Dobbiamo smontare la logica alla base del decreto sicurezza, che rende impossibile il processo di regolarizzazione, strappa adulti e bambini da percorsi di integrazione già avviati, come abbiamo visto a Castelnuovo di Porto, riconsegna persone che già lavorano e studiano legalmente in Italia a una condizione disperata. In che modo tutto questo genererebbe sicurezza?
Eppure non sarebbe difficile con 5 milioni e mezzo di stranieri residenti e oltre 1 milione di nuovi italiani. Bastava forse dare rappresentanza al mosaico culturale e ai molti talenti fra le nuove generazioni che stanno emergendo quasi con prepotenza?
Quella dei flussi migratori è una sfida strutturale. Il centrosinistra si è mosso nel solco del rispetto dei diritti e della creazione di un sistema moderno di accoglienza, ma è chiaro che fino al 2017 i campioni della paura hanno sfruttato la situazione. Io credo però che cittadini non siano affatto come li vorrebbe Salvini. Ecco perché dobbiamo agire attraverso coraggiose riforme sociali che svuotino il bacino dove proliferano i germi delle paure e del risentimento. E poi superare l’impostazione attuale che produce illegalità e clandestinità invece di favorire legalità e inclusione. In questo modo riconosceremo diritti e libereremo tanti esseri umani dai ricatti di chi assume in nero o da quelli della criminalità organizzata. Doveri e diritti non possono che marciare paralleli.
Una delle più comuni osservazioni critiche rivolte al Pd è stata quella di non aver fatto autocritica sulle cause della sconfitta: lei pensa che la gestione dell’immigrazione sia da annoverarsi tra queste cause? Cosa potrebbe rimproverare ai governi della precedente legislatura?
I governi di centrosinistra hanno affrontato una situazione difficile e sono riusciti a governarla, pur tra difficoltà e contraddizioni. C’era un percorso di collaborazione con l’Europa, canali legali di immigrazione e il contributo ad un piano di investimenti nei paesi africani dove le condizioni drammatiche alimentano l’immigrazione. E poi stavamo trattando per cambiare il sistema di Dublino con un concreto progetto di ridistribuzione in Europa dei migranti. Tutto questo, dopo il 4 marzo 2018, è semplicemente andato in fumo.
Quale sarebbe la sua linea di azione nei confronti di un’Europa che talora ha mostrato una scarsa propensione ad occuparsi in modo “strutturale” del tema della ripartizione dei migranti?
Va immediatamente riaperto il dialogo con l’Europa per isolare gli amici di Salvini, vale a dire i principali oppositori alla ridistribuzione dei flussi e alle modifiche del sistema Dublino. E poi va cambiata l’Europa, perché serve più unità e non tanti staterelli destinati a farsi la guerra per candidarsi a colonia preferita di qualche potenza globale. Ci vuole un guida politica basata sulla centralità del Parlamento, sull’elezione diretta del Presidente della Commissione Europea. Ci vogliono politiche comuni per Fisco, Bilancio, Difesa, Infrastrutture e Ricerca. Una UE nuovamente coerente con i suoi valori fondanti di solidarietà e rispetto dei diritti.
Nel dibattito politico, impoverito e polarizzato, l’opposizione si limita a criticare il decreto sicurezza, invece di fare i conti con l’ascesa sociale dei nuovi italiani che un partito progressista dovrebbe intercettare. Cosa ne pensa?
Il decreto sicurezza non è il problema ma la conseguenza della pericolosa incapacità della destra di affrontare una questione strutturale come quella dei flussi migratori. Il campo della sinistra italiana deve parlare a tutti, italiani e non, creando le condizioni sociali alla convivenza. Dobbiamo intervenire su questa economia globale sempre più divisiva, che consolida gli squilibri invece di ridurli, che sfascia la coesione sociale, emargina i più deboli e comprime la “classe media”. A questo le destre rispondono costruendo muri e nemici di comodo, o creando nuove forme di assistenzialismo utili solo a frenare ogni processo di emancipazione sociale e culturale dei cittadini. Noi al contrario dobbiamo essere quelli che valorizzano le migliori energie del Paese. E non c’è dubbio che tra questi ci siano tanti nuovi italiani che già oggi contribuiscono in maniera determinante allo sviluppo del Paese.