L’immigrazione è tema quotidianamente alla ribalta: non per un’emergenza in corso, ma per forzature dalla legittimità dubbia poste in essere dell’attuale governo. Il riferimento è alla politica dei “porti chiusi” (che chiusi non sono, mancando un atto formale in tal senso): dal caso della nave Diciotti (oggetto della domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno per il reato di sequestro di persona aggravato, trasmessa dalla Procura presso il Tribunale di Catania alla Presidenza del Senato) a quello della nave Sea Watch, costretta in rada a Siracusa con 47 migranti a bordo, che si è risolta pochi giorni fa.
In quest’ultima vicenda, un profilo rilevante attiene al trattamento dei minori stranieri non accompagnati (Msna). Si tratta di soggetti ai quali la legge italiana (l. n. 47/2017, legge Zampa) presta una particolare forma di tutela, equiparandoli a quelli «di cittadinanza italiana o dell’Unione europea» e prevedendo per essi l’applicazione della vigente disciplina in materia di assistenza dei minori in stato di abbandono. La citata legge ha introdotto a loro garanzia il divieto di respingimento, la predisposizione di strutture di prima assistenza e accoglienza, colloqui tra il minore e personale qualificato volti «ad approfondire la sua storia personale e familiare e a far emergere ogni altro elemento utile alla sua protezione», l’istituzione di un sistema informativo nazionale e di un elenco di tutori volontari ecc. Inoltre, con specifico riguardo all’accertamento dell’età nei casi più dubbi, la legge sancisce che si attivi una procedura che include esami socio-sanitari disposti dalla Procura presso il Tribunale per i minorenni.
Per valutare se nel caso Sea Watch i Msna siano stati tutelati secondo quanto previsto dalla legge occorre partire dai fatti. Il 25 gennaio scorso, la Procura dei minori di Catania ha chiesto lo sbarco immediato dei minori non accompagnati a bordo della nave, con una lettera inviata ai ministri dell’Interno e delle Infrastrutture e Trasporti, nonché al Presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, al procuratore generale di Catania e al Prefetto di Siracusa. Il 28 gennaio, poi, il Garante per l’infanzia del comune di Siracusa ha presentato al Tribunale dei minorenni di Catania un ricorso d’urgenza per lo sbarco dei minorenni, evidenziandone anche lo stato di vulnerabilità e le torture subite. Perché allora ai Msna non è stato consentito di scendere a terra? Nel comunicato di palazzo Chigi del 28 gennaio si affermava che la competenza alla prima accoglienza dei migranti a bordo spettasse all’Olanda, «in quanto Paese di bandiera della nave che ha effettuato il salvataggio in acque internazionali». Inoltre, secondo quanto riportato dai media, con specifico riguardo ai minori non accompagnati il mancato sbarco sarebbe stato dovuto all’incertezza sulla loro età: «hanno 17 anni e mezzo e per il momento non sono autorizzati a scendere a terra» , pare abbiano replicato fonti del Viminale a fronte della richiesta dei magistrati.
Detto questo, si pone una domanda: i convincimenti del Governo circa lo Stato competente e i dubbi del ministro sull’età di alcuni degli stranieri (e lasciando da parte il fatto che a 17 anni e mezzo non si è maggiorenni) possono essere considerati elementi idonei a legittimare il mancato sbarco dei presunti minori, giustificato anche dal fatto che a bordo della nave comunque venivano loro prestate cure e assistenza? Più in particolare, può dirsi che il Governo italiano abbia agito nel rispetto del principio del “supremo interesse dei minori” cui sono improntate normative internazionali e nazionali? Se ne dubita molto.
Innanzitutto, alcune convenzioni (Montego Bay, SOLAS e Amburgo) dispongono l’obbligo di salvataggio in mare dei naufraghi: tale obbligo comprende anche l’individuazione di un “porto sicuro” dove sbarcare le persone. Dunque, la nave è solo un mezzo di soccorso, non un “porto sicuro”, pertanto la permanenza e l’assistenza a bordo è una mera fase dell’operazione di salvataggio. In secondo luogo, è vero – come affermato dal Governo italiano – che una nave battente bandiera olandese è territorio olandese (convenzione di Montego Bay); parimenti è vero, salvo eccezioni, che se «il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale» (regolamento di Dublino): ma ciò non significa che, avendo i migranti messo piede in primis su una nave olandese, cioè sul territorio olandese, è senz’altro l’Olanda il Paese a cui spetta l’accoglienza, perché Paese di primo arrivo. Si consideri, al riguardo, quanto afferma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (causa Hirsi Jamaa e altri c. Italia): «è chiaro giuridicamente che l’acquis comunitario (l’insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli stati membri dell’Unione europea, n.d.r.) in materia di asilo non si applica nelle situazioni in alto mare». Più specificamente, come precisato dal contrammiraglio Carlone in audizione alla Camera richiamando la sentenza citata (vedi anche Agi-Agenzia Italiana), «Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra» e «non è applicabile a bordo delle navi», poiché «unità governative che non hanno personale specializzato a bordo per poter fare lo screening non possono essere considerate la frontiera d’ingresso per l’applicazione della Convenzione di Dublino».
Posto questo principio, a maggior ragione a bordo di una nave non può avvenire «l’accertamento socio-sanitario dell’età» degli eventuali minori che, ai sensi della legge Zampa, nei casi più complessi «deve essere svolto in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale ecc.»: quindi, deve essere svolto a terra.
Il Governo italiano, dunque, sembrerebbe non aver agito a tutela del “supremo interesse” dei Msna, poiché non si è posto nelle condizioni di svolgere nelle apposite strutture gli esami indispensabili per valutarne l’età effettiva, avendone impedito lo sbarco; ha fatto prevalere il proprio convincimento circa la competenza alla prima accoglienza rispetto al trasbordo a terra di soggetti che, in quanto eventualmente minori, godevano comunque di un trattamento preferenziale; infine, non ha considerato che, per i casi incerti, la legge Zampa prevede una norma di chiusura, e cioè che qualora «permangano dubbi sulla minore età, questa si presume ad ogni effetto di legge». A tale ultimo riguardo, e in altri termini,
«se c’è un solo dubbio, il ragazzo si deve considerare minore fino a prova contraria. Non si tratta di escamotage. Non lo può valutare il Viminale se fare sbarcare i minori» (Garante per l’infanzia di Siracusa).
«In nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati» – dispone la legge Zampa – e, come dichiarato dalla stessa autrice della legge, «nell’espressione “in nessun caso” c’è tutto». Infine, come chiarito dall’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia «l’intervento urgente di accoglienza e di protezione è questione diversa dall’individuazione del luogo stabile di permanenza dei migranti minorenni»: quindi, di qualsivoglia Paese sia la competenza “finale”, al momento dell’arrivo deve prevalere il “supremo interesse” del soggetto presumibilmente minore.
La citata domanda di autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti dimostra che i migranti non possono essere usati come arma di ricatto; ancora più grave sarebbe il ricatto mediante minori o supposti tali. L’attuale politica in tema di immigrazione tende con sempre maggiore forza a scontrarsi con il diritto. Ci si chiede fino a che punto il ministro potrà non tenerne conto.